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Caligorante

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Accadeva centocinquantatré anni fa. 18 gennaio 1871. Guglielmo I viene proclamato imperatore tedesco nella Sala degli specchi di Versailles. I quadri che ritraggono la fastosa cerimonia mettono in evidenza una sfilata di divise e feluche, una selva di teste coronate inneggianti al nuovo imperatore. I borghesi, i cittadini qualunque, non furono inseriti nei dipinti celebrativi; essi sono stati però la piattaforma su cui Bismarck poté costruire l’unificazione e porre la Prussia come potenza decisiva sulla scena tedesca ed europea. La loro assenza riflette il calcolo di Bismarck di attenuare quanto più possibile il peso della pecora matta nota come sovranità popolare. Il Sud-ovest della Germania, che era parte costitutiva dell’Europa occidentale dal 100 d.C., era ora completamente nelle mani di una potenza del cosiddetto Ostelbien (i territori a est del fiume Elba) che esisteva da soli tre secoli e mezzo: la Prussia. Il centro di gravità del continente si era spostato notevolmente a est. Il britannico Disraeli comprese subito che si trattava di un avvenimento politico molto più importante della rivoluzione francese. La Prussia si trovava fuori dai confini del Sacro Romano Impero; era un feudo polacco colonizzato nel corso del Medioevo dai cavalieri dell’Ordine teutonico. Il nuovo impero tedesco fu fondato in un’inebriante atmosfera di vittoria e la sua economia, alimentata dalle vagonate di lingotti d’oro che giungevano dalla Francia occupata, ebbe un’immediata esplosione. Di questo bizzarro soggetto geopolitico non facevano parte più di otto milioni di persone che, fino al 1871, si erano sempre ritenute tedesche – in Austria (il dualismo Vienna-Berlino avrebbe determinato i destini della Germania), Boemia e Moravia – ma ora comprendeva anche tre milioni di polacchi, così come consistenti minoranze di danesi e francesi nelle aree dello Schleswig-Holstein (annesso nel 1864) e dell’Alsazia-Lorena: tutta gente che non aveva alcuna intenzione tedeschizzarsi. La Germania non aveva mai avuto questo aspetto. Per molti anni, gli osservatori stranieri la chiamarono regolarmente Prussia-Germania o perfino semplicemente Prussia. Accanto al Reichstag imperiale a Berlino, ogni stato aveva il suo parlamento regionale, il Landtag e un sistema elettorale unico nel suo genere, a tre fasce, in cui il peso del voto di un cittadino dipendeva dall’ammontare delle tasse che versava. Nelle circoscrizioni rurali a est dell’Elba, addirittura, dove la classe media latitava e prevalevano i villici, erano i proprietari terrieri Junker a scegliersi in proprio i deputati per il loro Partito conservatore (Konservative Partei). Prima dell'unificazione la Germania era un’entità geografica vaga con un’entità politico-statuale debole e frammentata, ma con una realtà linguistica e culturale fortissima. Geograficamente la Germania era priva di sicuri confini naturali, con ampi spazi difficilmente difendibili (o difendibili dilatando i confini, come in Russia), segnati in modo insicuro da una rete trasversale di fiumi: Reno, Meno, Danubio, Elba e altri. I popoli di lingua e cultura germanica erano stati uniti sotto il Sacro Romano Impero, costituito da Carlo Magno nel IX secolo, il cui centro di gravità si era poi gradualmente spostato dalla Francia verso l’area tedesca. Ma anche il SRI era un mostro politico e istituzionale, come faceva notare nel Seicento il giusnaturalista Samuel Pufendorf, con al suo interno elementi estranei come l’Italia centrosettentrionale, i Paesi Bassi, il Belgio ecc. D’altra parte, i flussi di colonizzazione verso Oriente avevano portato migliaia di tedeschi, nobili, mercanti e contadini, a stabilirsi lontano dalla madrepatria. Basti pensare agli insediamenti nel Baltico orientale, in Romania, nel bassopiano ungherese, fino alle comunità accolte dalla zarina Caterina la Grande (non a caso tedesca) sulle rive del Volga. Né il SRI né il complesso mosaico etnico asburgico avevano fin lì rappresentato appieno gli interessi tedeschi. A causa della loro specifica debolezza, accentuata dalla profonda lacerazione religiosa provocata dalla Riforma protestante, i territori germanici furono a lungo sballottati tra le grandi potenze confinanti: Francia, Russia, Svezia. Lo stato territoriale prussiano si era costituito gradualmente, grazie a un’accorta politica matrimoniale e di alleanze attuata dagli Hohenzollern, una dinastia proveniente dalla Germania sud-occidentale che si era spostata a est a seguito della già ricordata crociata dell'Ordine teutonico. A seguito della laicizzazione dell’Ordine, nel 1618 questa enclave germanica nel mondo slavo era stata acquisita per via ereditaria dagli Hohenzollern. La Prussia, al momento della sua ascesa al rango di potenza continentale, presentava una notevole varietà di caratteri fra i suoi territori, che si estendevano dal Reno alla Prussia orientale. Mentre nelle zone occidentali vigeva una struttura fondiaria in cui predominava la piccola e media coltivazione contadina, con uno sviluppo incipiente di manifatture tessili collegate con i mercati olandesi e fiamminghi, oltre il fiume Elba predominava una struttura agricola gestita direttamente dagli Junker. Si può dire che l’essenza della monarchia prussiana risiede nello stretto legame tra sovrano e nobiltà terriera nota come Junkertum, simil slava e non particolarmente ricca per i parametri europei. Tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento, grazie all’abile e decisa opera del granduca Federico Guglielmo (1640-88) e dei re Federico Guglielmo i (1713-40) e Federico II, detto il Grande (1740-86), la dinastia si assicurò la incondizionata fedeltà e i servizi degli Junker, ai quali vennero affidate le posizioni di vertice nel corpo ufficiali e nella burocrazia civile. In cambio, la nobiltà ottenne il riconoscimento dei suoi domini nelle campagne su una popolazione contadina praticamente servile. Originally posted in:
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"I' mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando"

Purgatorio, canto XXIV

Per me, la scrittura è questo e credo che i miei due amori, Dante e San Giovanni apostolo, la rappresentino alla perfezione.

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«Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch'io;
e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio.»
(Rut 1:16)

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"Vedesti", disse, "quell'antica strega

che sola sovr'a noi ormai si piagne;

vedesti come l'uom da lei si slega.

Bastiti, e batti a terra le calcagne;

li occhi rivolgi al logoro che gira

lo rege etterno con le ruote magne".

Purgatorio, canto XIX, vv. 58-63

Siamo alla fine del girone degli accidiosi e Dante fa un sogno: una femmina "balba (balbuziente)", cieca, storpia a mani e piedi e dal colorito smorto. Ma l'essere umano non la vede nel suo reale aspetto, bensì attraverso il filtro del suo richiamo seduttivo. Questa femmina, infatti, è un'allegoria dell'incontinenza verso i piaceri terreni, in particolare l'avarizia, la lussuria e la gola, puniti nei gironi successivi. È quindi, questo, un sogno che anticipa quello che Dante dovrà incontrare nel suo viaggio.

Al suo risveglio, Virgilio nota che la sua mente è ancora occupata dal ricordo del sogno e lo incita a passare oltre attraverso i versi che ho scelto di riportare.

Virgilio è sbrigativo e lo esorta a non perdere tempo a rimuginare sul peccato, ma di andare avanti e guardare alle cose celesti.

Troppo spesso, di fronte alle miserie che ci abitano, ci crogioliamo nel nostro non essere degni di accostarci ai santi, troppo spesso ci giudichiamo "troppo peccatori" e questo giudizio implacabile si pone come un ostacolo al cammino verso Dio.

Ma, una volta preso atto di non essere immacolati e perfetti secondo la nostra idea di perfezione, dobbiamo avere il coraggio di presentarci a Dio così come siamo: pieni di difetti, manchevoli, fallibili.

I nostri genitori non ci amano forse nonostante i nostri errori? E come potrebbe Dio non farlo, se sinceramente ci volgiamo a Lui con tutto il carico di vergogna, ma anche di devozione, che portiamo addosso?

Ma a Lui dobbiamo guardare, non a noi stessi, perché dalle tenebre si esce grazie alla luce, e la luce che possiamo trovare in noi non è altro che luce divina.

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