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Caligorante

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Accadeva centonovantacinque anni fa. 19 gennaio 1829. A Braunschweig viene data la “prima” (anche se alla fine del 1828, a Parigi, era andata in scena la prima parte) del Faust di Goethe, la storia di un erudito combattuto tra il desiderio generoso di sacrificarsi per l'umanità e il disprezzo del volgo che non comprende i suoi slanci, disposto a tutto – anche a studiare magia, anche a scendere a patti con il diavolo – pur di ottenere la conoscenza e il potere necessari per dominare la natura. La regia, con tagli e modifiche approvati dall’autore, spettò a August Klingemann, formatosi alla scuola teatrale di Weimar e devotissimo di Goethe, oltre che autore di una versione personale del Faust. Il primo Volksbuch, il libro delle leggende e della saghe popolari, che racconta la vicenda risale al 1587. Sino al 1725 il Volksbuch originale e anonimo conosce altre quattro rielaborazioni, l’ultima delle quali è quella che Goethe ebbe appunto modo di conoscere. Nel corso del Cinquecento la storia era giunta anche in Inghilterra, dove nel 1604 sarebbe stata adattata da Christopher Marlowe. Pare che Goethe abbia assistito a una di queste rappresentazioni nel corso del 1768, quando si trovava a Francoforte, e nel 1770, invece, a Strasburgo. Da piccolo aveva avuto modo di assistere a una versione marionettistica del Faust, mentre la versione scritta da Marlowe ebbe modo di leggerla soltanto nel 1818. Dopo Braunschweig, fu la volta di Hannover, Dresda, Lipsia. La figura di Faust accompagnò Goethe per tutta la vita, dall'Urfaust del 1773-1775 in poi, mutando insieme al suo autore. La fiducia e la risolutezza del superuomo che anela al dominio dell’universo vacillano a causa delle tragiche esperienze amorose. Faust diverrà un uomo abbandonato da Dio, un saggio che riconosce i limiti umani e l’impotenza titanica, uno spirito che non riesce ad esplicare nella realtà limitata, quelle illimitate energie che sente fremere in sé, come Goethe nell'angusta società tedesca. L'Urfaust va isolato rigorosamente dalle aggiunte posteriori e, secondo alcuni, pur nella sua frammentarietà, risulta complessivamente più omogeneo e soprattutto più vigoroso della redazione posteriore. Il nucleo del dramma di Faust viene esplicato dal grande monologo iniziale (l’Urfaust si esaurisce qui, la redazione definitiva farà seguire altri monologhi di Faust e i suoi dialoghi con Mefistofele) e dalla scena potente dell'evocazione dello spirito della terra. Il Faust della prima redazione non accenna ancora allo Streben (“andare”, “tendere verso qualcosa”, “aspirare”), che è desiderio demoniaco di andare oltre, di trasumanare, opposto al Genus di Mefistofele, che è accidiosa pigrizia, compiaciuto appagamento di ciò che si è. Mefistofele, che solo parzialmente si adatta al ruolo del demonio nel senso della leggenda cristiana del patto infernale, è il tradizionale e leggendario “povero diavolo” destinato ad essere beffato: nega la sublimità umana (a lui – che conosce solo la lascivia senile e sterile – non accessibile), ma compie sforzi ostinati per distruggerla e con ciò la riconosce. E tale contraddizione lo fa soffrire: in questo consiste il suo dramma. Mefistofele è il rovescio del protagonista e del suo autore, ma anche un altro aspetto di Goethe medesimo, quello un po' cinico e sboccato che si accompagnava ad amici esperti e spregiudicati che facessero da contrappeso alla sua sfrenata volubilità fantastica. Seducendo Margherita (Gretchen), Faust profana e ripudia l'etica borghese e, con essa, la tradizione religiosa nel nome della sua rivoluzionaria ed incerta fede panteista, che sfocia, per l'appunto, nel libertinaggio sensuale. Al pari del wanderer, il viandante del romanticismo, distrugge la capanna dell'amore e del passato perché non è capace di possederle. Il sapiente che, sperimentata la vanità della scienza troppo astratta, si dà alla magia per conoscere le forze vive e insondabili della natura, diventa il compendio ideale della generazione stürmeriana che si libera dall'illuminismo sentito ormai come peso morto e si tuffa nell'esperienza della vita. Ma è anche, forse, anticipazione sinistra della rivolta delle élite (Wagner, l'assistente del dottor Faust, ossessionato dal desiderio di concepire la vita artificiale, crea il grottesco Homunculus), di tutte le élite, comprese le odierne schiere di cagliostri davosiani. All'universo concepito nell’Urfaust come Caos privo di unità e di legami, Goethe sostituirà nel Faust per vari gradi un universo che si sforza di essere organico: entro il mondo in cui si svolge il dramma di Faust sarà rappresentata una serie caleidoscopica, quasi ininterrotta, di mondi creati. La tragedia di Margherita, donna forte e al contempo fragile, radicata nel proprio senso morale, nasce dal conflitto tra passione e convenzioni sociali e religiose: la donna appartiene alla piccola borghesia, non può portare in pubblico i gioielli trovati nella sua camera, può concepire solo l'amore santificato dal matrimonio, non può ambire a sposare un notabile. Mentre Faust rimane sospeso tra Mefistofele e Margherita senza riuscire a scegliere, lei nel momento decisivo non ha un attimo di esitazione: sa che deve scegliere tra il Bene e il Male e respinge Faust. Originally posted in:
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"I' mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando"

Purgatorio, canto XXIV

Per me, la scrittura è questo e credo che i miei due amori, Dante e San Giovanni apostolo, la rappresentino alla perfezione.

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«Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch'io;
e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio.»
(Rut 1:16)

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"Vedesti", disse, "quell'antica strega

che sola sovr'a noi ormai si piagne;

vedesti come l'uom da lei si slega.

Bastiti, e batti a terra le calcagne;

li occhi rivolgi al logoro che gira

lo rege etterno con le ruote magne".

Purgatorio, canto XIX, vv. 58-63

Siamo alla fine del girone degli accidiosi e Dante fa un sogno: una femmina "balba (balbuziente)", cieca, storpia a mani e piedi e dal colorito smorto. Ma l'essere umano non la vede nel suo reale aspetto, bensì attraverso il filtro del suo richiamo seduttivo. Questa femmina, infatti, è un'allegoria dell'incontinenza verso i piaceri terreni, in particolare l'avarizia, la lussuria e la gola, puniti nei gironi successivi. È quindi, questo, un sogno che anticipa quello che Dante dovrà incontrare nel suo viaggio.

Al suo risveglio, Virgilio nota che la sua mente è ancora occupata dal ricordo del sogno e lo incita a passare oltre attraverso i versi che ho scelto di riportare.

Virgilio è sbrigativo e lo esorta a non perdere tempo a rimuginare sul peccato, ma di andare avanti e guardare alle cose celesti.

Troppo spesso, di fronte alle miserie che ci abitano, ci crogioliamo nel nostro non essere degni di accostarci ai santi, troppo spesso ci giudichiamo "troppo peccatori" e questo giudizio implacabile si pone come un ostacolo al cammino verso Dio.

Ma, una volta preso atto di non essere immacolati e perfetti secondo la nostra idea di perfezione, dobbiamo avere il coraggio di presentarci a Dio così come siamo: pieni di difetti, manchevoli, fallibili.

I nostri genitori non ci amano forse nonostante i nostri errori? E come potrebbe Dio non farlo, se sinceramente ci volgiamo a Lui con tutto il carico di vergogna, ma anche di devozione, che portiamo addosso?

Ma a Lui dobbiamo guardare, non a noi stessi, perché dalle tenebre si esce grazie alla luce, e la luce che possiamo trovare in noi non è altro che luce divina.

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