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Caligorante

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Accadeva ottantasei anni fa. 5 novembre 1937. Nella cancelleria del Reich, Adolf Hitler presiede una riunione segreta sulla non più rinviabile espansione germanica. Presenziarono i capi di esercito, Luftwaffe e marina insieme al ministro della guerra Blomberg. I convenuti, i quali credevano di partecipare a un vertice per stabilire l’allocazione delle forniture d’acciaio per le forze armate, furono sorpresi quando Hitler si lanciò in un monologo di due ore sulla necessità di un’espansione territoriale attuata con la forza in un breve volgere di anni. Questo era il proprio pensiero in politica estera e, in caso di trapasso, il suo “lascito testamentario”. Senza uno “spazio vitale” sarebbero sopraggiunte “sterilità”, crisi alimentare, un cambio estero sfavorevole, calo delle nascite, impoverimento del tenore di vita, invecchiamento del partito e dei suoi leader. La sicurezza economica non poteva poggiare sulle esportazioni: una dipendenza dal mercato mondiale avrebbe lasciato la Germania debole ed esposta. Bisognava acquisire territori in Europa per poter alimentare la produzione industriale. Sulla strada della Germania si frapponevano la Francia, oberata da difficoltà interne, e l’impero britannico, ormai al tramonto. Il protrarsi del conflitto civile in Spagna poteva dirottare Francia e Inghilterra contro l’Italia. Nel qual caso, la Germania doveva essere pronta ad approfittare delle circostanze per attaccare senza indugio cechi e austriaci. Il primo obiettivo, infatti, doveva essere la sconfitta simultanea “e fulminea” di Austria e Cecoslovacchia per proteggere il fianco orientale in vista di una operazione militare a ovest. L’assorbimento di Austria e Cecoslovacchia avrebbe liberato risorse umane e materiali che potevano essere impiegate altrimenti. Le sollevazioni in India e la riluttanza a trovarsi invischiata in una lunga guerra continentale, avrebbero dissuaso Londra dall'intraprendere le ostilità contro la Germania. E senza il sostegno di Londra era improbabile che la Francia scendesse in campo. Contro l’eliminazione della Cecoslovacchia l’Italia non avrebbe avuto nulla da ridire. Quanto alla sua posizione verso l’Austria, viceversa, per il momento non se ne poteva dir nulla. La Polonia sarebbe stata troppo preoccupata dall’URSS per impensierire la Germania. E l’Unione Sovietica avrebbe avuto da il suo bel da fare nell’estremo oriente col Giappone, e sarebbe stata sistemata al momento opportuno. La riunione del 5 novembre fu la prima volta in cui i comandanti in capo ricevettero comunicazione esplicita dei pensieri del Führer su tempi e modalità dell’espansione tedesca a est. Le tesi hitleriane non convinsero la maggior parte del ristretto uditorio. Blomberg, Fritsch e Neurath furono allarmati da quanto udirono. A preoccuparli non erano le mire espansionistiche, su cui non vi era disaccordo, e l’interpretazione hitleriana del Lebensraum in termini razziali si accordava con gli interessi strategico-militari di una supremazia tedesca nella Mitteleuropa, e con gli obiettivi di dominio economico nell’area sudorientale del continente caldeggiati da Göring. Ciò che li sconvolse fu la prospettiva di un prematuro impiego della forza, e insieme il grave pericolo di trovarsi precipitati in un nuovo logorante confronto contro Francia e Gran Bretagna. Neurath definì altamente improbabile un allargamento del conflitto nel Mediterraneo nei termini prospettati da Hitler, è ammonì che gran parte degli obiettivi potevano essere raggiunti con metodi meno aleatori, seppure in tempi più lunghi. Göring premeva per un accordo con la Gran Bretagna. Hitler replicò che per lui non c’era più tempo. Il Terzo Reich stava entrando, sia sul piano interno che su quello esterno, in una fase nuova e più radicale. Originally posted in:
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"I' mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando"

Purgatorio, canto XXIV

Per me, la scrittura è questo e credo che i miei due amori, Dante e San Giovanni apostolo, la rappresentino alla perfezione.

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«Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch'io;
e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio.»
(Rut 1:16)

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"Vedesti", disse, "quell'antica strega

che sola sovr'a noi ormai si piagne;

vedesti come l'uom da lei si slega.

Bastiti, e batti a terra le calcagne;

li occhi rivolgi al logoro che gira

lo rege etterno con le ruote magne".

Purgatorio, canto XIX, vv. 58-63

Siamo alla fine del girone degli accidiosi e Dante fa un sogno: una femmina "balba (balbuziente)", cieca, storpia a mani e piedi e dal colorito smorto. Ma l'essere umano non la vede nel suo reale aspetto, bensì attraverso il filtro del suo richiamo seduttivo. Questa femmina, infatti, è un'allegoria dell'incontinenza verso i piaceri terreni, in particolare l'avarizia, la lussuria e la gola, puniti nei gironi successivi. È quindi, questo, un sogno che anticipa quello che Dante dovrà incontrare nel suo viaggio.

Al suo risveglio, Virgilio nota che la sua mente è ancora occupata dal ricordo del sogno e lo incita a passare oltre attraverso i versi che ho scelto di riportare.

Virgilio è sbrigativo e lo esorta a non perdere tempo a rimuginare sul peccato, ma di andare avanti e guardare alle cose celesti.

Troppo spesso, di fronte alle miserie che ci abitano, ci crogioliamo nel nostro non essere degni di accostarci ai santi, troppo spesso ci giudichiamo "troppo peccatori" e questo giudizio implacabile si pone come un ostacolo al cammino verso Dio.

Ma, una volta preso atto di non essere immacolati e perfetti secondo la nostra idea di perfezione, dobbiamo avere il coraggio di presentarci a Dio così come siamo: pieni di difetti, manchevoli, fallibili.

I nostri genitori non ci amano forse nonostante i nostri errori? E come potrebbe Dio non farlo, se sinceramente ci volgiamo a Lui con tutto il carico di vergogna, ma anche di devozione, che portiamo addosso?

Ma a Lui dobbiamo guardare, non a noi stessi, perché dalle tenebre si esce grazie alla luce, e la luce che possiamo trovare in noi non è altro che luce divina.

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