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Caligorante

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Accadeva centoottantacinque anni fa. 9 gennaio 1839. L'accademia francese delle scienze annuncia l'invenzione di Louis-Jacques Daguerre nota come dagherrotipo. Il nome di Daguerre è legato a quello di Nicephore Niépce, ingegnoso aristocratico di campagna con alle spalle decenni di ricerche: lastre cosparse di bitume di Giudea, points de vue (punti di vista, prime fotografie di viali e paesaggi), ma anche ritratti, richiedenti dalle otto alle dieci ore. L'ottico Chevalier, che aveva fornito le lenti per le camere scure a Niépce, aveva parlato delle eliografie di Niépce a Daguerre, pittore e scenografo teatrale, allestitore di diorama, ossia quadri vivificati da luci particolari. Dopo essere stato respinto dalla Royal Society di Londra per non aver voluto svelare il segreto del procedimento, Niépce accettò la corte di Daguerre e nel 1829 i due strinsero un sodalizio. Daguerre, più ambizioso e circospetto dell'anziano collega, il primo a “scrivere con la luce” (questo è per l'appunto l'etimo di fotografia), manterrà un rigoroso riserbo fino alla morte del socio, avvenuta nel 1833. Daguerre alla fine rubò la scena e i meriti a Niépce riuscendo a impressionare una lastra di metallo con lo iodio e a fissarla col sale marino e col mercurio: il risultato fu il dagherrotipo. Daguerre stentò a trovare finanziamenti. Alla fine sparse la voce che l'Inghilterra e lo zar di Russia intendevano acquistare la sua invenzione. Così, con l'intercessione di François Arago, deputato dei Pirenei orientali nonché astronomo, riuscì a far esaminare il procedimento alla Commissione dell'Accademia delle scienze. Il 14 giugno il governo nazionalizzò l'invenzione di Daguerre. Isidore, figlio di Nicephore Niépce, ottenne una pensione statale di 4000 franchi, Daguerre di 6000 più la Legion d'Onore. Il 19 agosto 1839 Arago svelò il segreto davanti all'Accademia delle scienze e delle belle arti. Il procedimento di Daguerre era complicato e si svolgeva in cinque tempi: 1) si prende una lastra placcata d'argento coperta da una foglia d'argento chimicamente pura, la si lucida e la si inserisce in una tavoletta. 2) la tavoletta è collocata in una scatola; la superficie argentata è esposta all'evaporazione spontanea di pagliuzze di iodio che devono tingere il metallo in giallo oro; 3) la lastra è inserita nel telaio; deve essere usata entro un'ora; dopo la messa a punto, la posa dura da 15 a 30 minuti; 4) inserita in una scatola contenente Mercurio, riscaldata da una lampada ad alcool a 60 gradi centigradi, l'immagine latente appare attraverso un vetro giallo; 5) la lastra viene immersa successivamente in acqua pura e in una soluzione di sale marino o di iposolfito di sodio, poi viene lavata con acqua distillata calda. Una lastra costava mediamente 25 franchi d'oro e, dato il costo, veniva conservata dentro astucci da gioielli. Il dagherrotipo, malgrado strumentazioni sofisticate e care, ebbe un successo strepitoso. Daguerre rubò o rielaborò i segreti di Niépce? Dubbio difficile da sciogliere. E poi occorre menzionare lo sfortunato e misconosciuto (forse anche mal consigliato, visto che fu indotto a ottenere immagini direttamente positive, senza negativo) Hippolyte Bayard, che era arrivato alla fotografia negli stessi anni in cui operava Daguerre, tanto da essere snobbato da Arago e dal governo francese, benché una sua esposizione si fosse tenuta alcuni prima la consacrazione di Daguerre. Bayard ci lasciò alcune opere interessanti, compreso un noto autoritratto fotografico dove si fingeva morto annegato, un “suicidio” simulato in segno di protesta per la sua condizione di artista incompreso e inventore usurpato. Originally posted in:
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"I' mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando"

Purgatorio, canto XXIV

Per me, la scrittura è questo e credo che i miei due amori, Dante e San Giovanni apostolo, la rappresentino alla perfezione.

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«Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch'io;
e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio.»
(Rut 1:16)

1795-William-Blake-Naomi-entreating-Ruth-Orpah.jpg
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"Vedesti", disse, "quell'antica strega

che sola sovr'a noi ormai si piagne;

vedesti come l'uom da lei si slega.

Bastiti, e batti a terra le calcagne;

li occhi rivolgi al logoro che gira

lo rege etterno con le ruote magne".

Purgatorio, canto XIX, vv. 58-63

Siamo alla fine del girone degli accidiosi e Dante fa un sogno: una femmina "balba (balbuziente)", cieca, storpia a mani e piedi e dal colorito smorto. Ma l'essere umano non la vede nel suo reale aspetto, bensì attraverso il filtro del suo richiamo seduttivo. Questa femmina, infatti, è un'allegoria dell'incontinenza verso i piaceri terreni, in particolare l'avarizia, la lussuria e la gola, puniti nei gironi successivi. È quindi, questo, un sogno che anticipa quello che Dante dovrà incontrare nel suo viaggio.

Al suo risveglio, Virgilio nota che la sua mente è ancora occupata dal ricordo del sogno e lo incita a passare oltre attraverso i versi che ho scelto di riportare.

Virgilio è sbrigativo e lo esorta a non perdere tempo a rimuginare sul peccato, ma di andare avanti e guardare alle cose celesti.

Troppo spesso, di fronte alle miserie che ci abitano, ci crogioliamo nel nostro non essere degni di accostarci ai santi, troppo spesso ci giudichiamo "troppo peccatori" e questo giudizio implacabile si pone come un ostacolo al cammino verso Dio.

Ma, una volta preso atto di non essere immacolati e perfetti secondo la nostra idea di perfezione, dobbiamo avere il coraggio di presentarci a Dio così come siamo: pieni di difetti, manchevoli, fallibili.

I nostri genitori non ci amano forse nonostante i nostri errori? E come potrebbe Dio non farlo, se sinceramente ci volgiamo a Lui con tutto il carico di vergogna, ma anche di devozione, che portiamo addosso?

Ma a Lui dobbiamo guardare, non a noi stessi, perché dalle tenebre si esce grazie alla luce, e la luce che possiamo trovare in noi non è altro che luce divina.

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