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Caligorante

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Accadeva cinquecentoundici anni fa. 31 ottobre 1512. A Roma, il giorno d’Ognissanti, papa Giulio II inaugura la volta della Cappella Sistina affrescata da Michelangelo Buonarroti. L’impresa, cominciata nel 1508, nacque da un deliberato equivoco: Michelangelo, infatti, era soprattutto uno scultore a cui era stato assegnato il monumento funebre di Giulio II. Pare che il pittore e architetto papalino Bramante, geloso del rivale, abbia voluto metterlo in difficoltà trascinandolo in un terreno non suo: la pittura. Così, con astuzie da cortigiano, indusse il pontefice a scegliere il Buonarroti che, fino a quel momento, non aveva avuto (se non nella bottega del Ghirlandaio, vent’anni prima e molto marginalmente) esperienza della pittura ad affresco. Nondimeno una volta così enorme non era mai stata dipinta con figure ad affresco negli ultimi secoli in Italia, a parte il grande cielo stellato che fa da sfondo nella volta della Sistina, opera di Pier Matteo d’Amelia. Corteggiatissimo al pari di un fuoriclasse del pallone, Michelangelo decise di tornare sui suoi passi e di accettare la sfida. Negli anni 80 del Quattrocento, un “consorzio” formato da Cosimo Rosselli, il Ghirlandaio (maestro del Buonarroti), Botticelli e Perugino aveva affrescato le pareti della cappella con le Storie di Gesù e di Mosé. A Michelangelo toccò illustrare le vicende del Vecchio Testamento. La Cappella Sistina doveva continuare a ospitare i principali riti religiosi anche durante i lavori, che si annunciavano lunghi. Il primo problema da risolvere era un ponteggio sospeso che coprisse la volta ma non ingombrasse il pavimento. Michelangelo, imponendosi sul Bramante, anziché appendere il ponteggio al soffitto, lo fece appoggiare su dei “sorgozzoni”, dei travi sporgenti dalle finestre a guisa di puntelli. L’impalcatura per affrescare la volta era una struttura imponente e soggetta a deterioramento, che richiese legno, tempo e denaro per essere tirata su: un po’ come la scenografia di un film. Michelangelo chiamò e poi rimandò al mittente un pugno di amici fiorentini, esperti dell’affresco. Preferì dar voce a una sorta di solitudine creatrice. Entro i nove pannelli del soffitto compaiono il Dio che divide la luce dalla tenebra, creatore del sole e della luna, degli animali e delle piante, che tende la mano all’uomo chiamandolo alla vita. Poi la nascita della donna, la tentazione del serpente, la cacciata dal Paradiso che omaggia il Masaccio, il sacrificio di Noè, il diluvio col groviglio di corpi che anticipa il Giudizio Universale, e infine l’ebbrezza di Noè, la profanazione del suo sonno. Tra una nicchia e l’altra, in senso longitudinale, sono distribuiti i profeti e le sibille, privilegiati e isolati portavoce di Dio; inseriti e come acquattati nelle lunette stanno infine gli antenati di Cristo. L'autore riservò una dedizione assoluta all’opera, dormendo e mangiando sui ponteggi per un anno intero. Il 14 d’agosto del 1511 tutti gli artisti e i dignitari della Curia andarono a vederla, incuriositi dalla scontrosità dell’artista che, simile a un regista famoso dei nostri giorni, aveva sempre vietato l’accesso a chiunque. I giudizi furono unanimi: il pittore non era da meno dello scultore. Il giorno dell’inaugurazione il Papa ordinò a Michelangelo di arricchire gli affreschi coll’azzurro ultramarino a secco e con l’oro. L’autore rispose: «Io non veggo, Santo Padre, che gli uomini portino oro». «La sarà povera», protestò Giulio II. «Quei che son dipinti quivi, Santo Padre, furon poveri ancor essi». Il pontefice capì, e fu d’accordo. Mentre l'artista era intento al suo capolavoro, a Firenze la sua famiglia viveva le tribolazioni delle lotte comunali, il rientro dei palleschi medicei ecc. Raffaello Sanzio, frattanto, affrescava le Stanze Vaticane. Gli aneddoti sui due divi si sprecano. Michelangelo un giorno lo apostrofò: “Dove te ne vai, Raffaello, così circondato come un Monsignore?” E Raffaello a lui: “E voi, solo come un boia?”». Non come un boia, ma come un uomo triste e solo Raffaello rappresentò, ne La scuola di Atene, nei panni del filosofo Eraclito, il cogitabondo Buonarroti. Originally posted in:
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THE WHALE - SULL'AMORE VERREMO GIUDICATI

Charlie è un docente universitario che, nella vita, ha perso tutto: un grande amore, l'affetto di sua figlia, la possibilità di una vita normale.
Il suo corpo è enorme e, all'apparenza, sembra riflettere il peso del fallimento delle sue scelte.

Questo film mi ha portato a meditare il tema della sofferenza.
Il corpo di Charlie si fa centro gravitazionale, attorno a cui ruotano le sofferenze delle persone che entrano a contatto con lui e che, attraverso lui, si scoprono delle loro più grandi fragilità. "Scrivete qualcosa di sincero", sembra dire a tutti.

Il suo corpo parla, "scrive" per lui.
Per tutto il tempo del film, una visione romantica ci spinge a pensare che Charlie voglia soffrire perché ha perduto l'amore della sua vita, Alan.
Incessantemente, Charlie invoca l'amore perduto attraverso le parole di un tema su Moby Dick.
Ma non è Alan che invoca, bensì sua figlia Ellie.

A pensarci bene, alla fine del film, le vite di Charlie e Alan anelavano a un amore che andava oltre il loro sentimento reciproco, perché il tormento interiore, intimo e personale, non si poteva risolvere all'interno della coppia.
Di Alan si sa tanto quanto si può intuire dalle parole di sua sorella, ma la morte di Charlie apre le porte alla sua redenzione, perché coincide con un atto di grande compassione: il perdono da parte di sua figlia.

Più che mai, questo film fa risuonare in me una frase: sull'amore verremo giudicati.


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La colpa è stata addossata ad un 71enne di sinistra che ha compiuto l'atto criminale, ma sicuramente dietro ci sono gli americani, dato che il Primo Ministro è molto amico di Putin.

Il provvedimento del Governo in materia di lavoro ai giovani mi trova molto discorde.
Si incentivano le imprese ad assumere solo giovani del Sud, creando di pari passo disoccupazione dei giovani al Nord. Soprattutto è un provvedimento incostituzionale, dato che crea differenze e disparità tra cittadini.
Semmai dovevano incentivare le assunzioni imponendo pari percentuali di occupazione in tutto il territorio nazionale, isole comprese.
Quando la classe politica è ignorante e incapace, e non mi riferisco solo a quella di Governo, ma a tutto l'arco parlamentare accade questo orrore.
Occorrono nuovi politici, preparati e soprattutto che amino l'Italia e siano disposti a sacrificarsi per essa.
“Quello che sta avvenendo a Gaza è come se noi, per catturare Matteo Messina Denaro, avessimo raso al suolo la provincia di Trapani, anzi è peggio, perché mentre lui non si è mai mosso dalla provincia di Trapani, i capi di Hamas di certo non sono a Gaza.
Eppure, per comprendere la complessità del conflitto senza ridurla a sterili tifoserie, studiare la storia è un elemento essenziale: “È ovvio che se ci fermiamo all’istantanea degli ultimi sei mesi, con il massacro e i crimini di guerra di Netanyahu e del suo esercito ai danni della popolazione di Gaza, tutte le ragioni del mondo sembrano essere solo da una parte, ma le cose sono più complesse di come sembrano.
È difficile immaginare quali possano essere le vie d’uscita da questo conflitto fino a quando non emergeranno figure che sappiano ‘andare oltre se stessi’ come avvenuto in Sudafrica quando si mossero i primi passi per smantellare l’apartheid.
È ovvio che ci siano proteste se pensiamo che a Gaza si contano 35 mila morti in sei mesi, su due milioni e mezzo di abitanti, quasi tutti civili e bambini. Per fare un paragone basti pensare che in due anni e due mesi in Ucraina ci sono state 10.000 vittime civili su 40 milioni di abitanti, eppure a Netanyahu nessuno osa dire nulla e nei confronti di Israele non è scattata ancora nessuna delle sanzioni che hanno colpito i russi a poche ore dall’aggressione.
Quindi la rabbia è perfettamente comprensibile, rimarca il direttore del Fatto, “però oltre alla rabbia bisognerebbe studiare la storia, per capire come siamo arrivati fin qui è come se ne può uscire”.
cit. Marco Travaglio

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  • Serenità apollinea (altro che quel ragnetto debosciato di Damiano dei Maneskin), impegno civile, coraggio. Siamo tutti Enrico Mantoan.
  • A breve partirà l'ennesima ondata di post veicolanti la turbo-retorica fallaciana, tipo Guesdah [questa] era la Persia sotto lo Shah. 1970...
  • https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/05/19/iran-atterraggio-demergenza-per-lelicottero-con-il-presidente-raisi_30921fc4-68cc-4d35-a65d-859ec...
  • I radical chic di destra, riescono ad essere più urticanti dei loro omologhi di sinistra.
  • Dilettanti allo sbaraglio I promotori di liste e listarelle "antisistema" stanno letteralmente sclerando. Da diverse ore volano improperi e...
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