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La città di Gerico nella prima fase del Neolitico pre-ceramico contava un numero significativo di abitanti, le stime vanno da un range di qualche centinaio fino ai duemila.
Si trattava di un centro abitato con mura e una torre, il che fa supporre (a differenza di quanto avvenne nella Civiltà della Valle dell'Indo) che vi fosse una necessità di difesa. Non tutti gli studiosi concordano che la minaccia fosse necessariamente (o prevalentemente) umana, avendo trovato un discreto numero di animali predatori uccisi nell'abitato: cani, volpi, lupi.
Altri, non trovando tracce di attività bellica, hanno supposto che le fortificazioni fossero state alzate per difendersi da problemi di carattere geologico.
Dobbiamo immaginare questo piccolo centro, come una metropoli per l'epoca, inserita in una rete di scambi fitta che si diramava verso il Mediterraneo, l'Anatolia, il Caucaso e la Mezzaluna Fertile. I materiali ritrovati sono inequivocabili, esisteva una qualche rete di scambio tra comunità lontane. Ci troviamo, inoltre, agli albori dell'agricoltura medio-orientale (e forse umana), le varietà di orzo sono ancora molto simili a quelle selvatiche.
L'addomesticazione procedeva, invece, a rilento: gli ovini furono addomesticati in un secondo momento, probabilmente dopo una lunga serie di tentativi infruttuosi.
Una comunità che viveva in case di mattoni semplici e che ancora praticava estensivamente la caccia come alternativa all'agricoltura. Una sorta di fase di transizione tra i cacciatori-raccoglitori e gli agricoltori-allevatori: gli agricoltori-cacciatori. Infondo, questa rimase la normalità per grande parte della storia umana: ci si procurava il cibo dove si poteva, le persone (la divisione dei ruoli passava sulla linea di genere, ma anche sulle abilità, la propensione, l'addestramento) cercavano cibo dove potevano e collaboravano con il proprio nucleo familiare-domestico.
Alcuni identificano in questa fase gli albori della rivoluzione neolitica; l'ennesima rivoluzione per descrivere un cambiamento epocale. Aveva ragione Lacan nel notare che "rivoluzione" è il nome del moto dei pianeti attorno al Sole e che non a caso ogni anno questi tornano al punto di partenza; come la rivoluzione francese iniziata con un monarca e terminata con l'incoronazione di Napoleone imperatore (forse un po' ingiusto come giudizio, ma storicamente inconfutabile).
Mentre Gerico sembra seguire le tappe della teoria standard (agricoltura -> riserve di cibo -> vita comunitaria -> divisione dei ruoli -> stratificazione sociale), i siti anatolici come Gobekli Tepe sembrano ribaltare questa visione (niente agricoltura -> vita comunitaria -> costruzioni megalitiche -> collaborazione di più uomini -> probabile semi-nomadismo e società di cacciatori-raccoglitori).
I siti anatolici sono più antichi di quelli palestinesi, questo potrebbe in parte sostenere la tesi standard: un passaggio graduale dalla vita nomade al neolitico. Siamo spinti da una visione del mondo anglosassone (e quindi implicitamente liberale e competitiva), pensiamo che la domanda spingesse la tecnica, che entrambe fossero foriere del cambiamento (la "rivoluzione" appunto; rivoluzione il cui campo semantico, per i continentali ricordava sovvertimento e violenza, ma per gli anglosassoni ricordava progresso tecnico, nonostante anche loro abbiano la loro gloriosa). Invece, siamo forse a un punto di rottura sulle nostre vecchie idee, forse le esigenze comunitarie spinsero gli uomini a radunarsi e casualmente, solo in un secondo momento, alcuni decisero di coltivare e allevare.
Il problema alimentare era nelle società tradizionali molto meno pressante di quanto raccontato. I gruppi umani sapevano adattarsi perfettamente all'ambiente, trovare persino varietà stagionali di sapori. Così i popoli del deserto, impararono a cacciare nel loro habitat, a estrarre succo dalle piante grasse, a mangiare fiori, semi, insetti; i popoli vicini a laghi e mari impararono a pescare e a cacciare uccelli; i popoli della foresta si specializzarono nel loro ambiente (mostrandosi reticenti all'introduzione dell'agricoltura).
La coltivazione legava la comunità a un luogo, al clima, al duro lavoro dei campi; la raccolta e la caccia no (e gli studi sulle comunità che le praticavano mostrano un apporta calorico non carente).
Proviamo a ribaltare il punto di vista: sappiamo che Gerico aveva delle mura e che gli abitanti praticavano l'agricoltura e se i locali optarono per la coltivazione in vista di una maggiore sicurezza e vicinanza alla zona protetta? E se fosse stata la paura dei nemici umani o animali, a spingere la comunità sempre più dentro le mura, verso la città e verso l'agricoltura?
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