In altri articoli, ho parlato di morte e impermanenza delle cose. In un libro come questo e, in generale, in ambito spirituale, sono temi che ricorrono continuamente, perché fanno parte del modo di stare al mondo dell'essere umano.

Non ho mai riflettuto, a quanto mi par di ricordare, su questo blog, sul concetto di tempo.
Tu noi sappiamo che una cosa, qualunque forma abbia, ha una durata: nasce, cresce e muore. Questo movimento si sviluppa nel tempo e tutti noi possiamo farne esperienza. Possiamo pensare, senza turbamento, al ciclo vitale di un fiore o di un insetto e riflettere sulla morte, sulla decadenza, con un certo distacco.

È più doloroso pensare al ciclo vitale di un genitore o di un figlio. Un fiore può appassire naturalmente o essere strappato senza che il nostro cuore soffra per lui; non e lo stesso se pensiamo che un figlio possa esserci tolto da una malattia, da un incidente o dalla crudeltà umana. Ed è normale che sia così.

Tuttavia, di fronte al passare del tempo e soprattutto quando iniziamo a superare una certa età, non deve esser tabù pensare che noi o chi ci sta accanto possiamo, a un certo punto, morire. È naturale che sia così, fa parte dell'andamento delle cose del mondo.

Noi esseri umani, però, abbiamo una caratteristica che gli animali non hanno: la consapevolezza di sé. Oltretutto godiamo di una dimensione spirituale che, benché quasi dimenticata in Occidente, consente di "salutare la Morte come una vecchia amica"*.

Il confine della materia non è invalicabile, ma non bisogna cercare il limite all'infuori della nostra carne, ma all'interno, dove sembra racchiuso.
L'osservazione di sé, momento dopo momento, giorno dopo giorno, anno dopo anno, consente di prendere coscienza della transitorietà e dell'impermanenza di tutto ciò che costituisce la nostra vita terrena e, in questo modo, di superare le barriere del tempo.

Chi pratica meditazione, lo sa: più si scende in profondità, più si perde la cognizione temporale. Il timer segna la fine della sessione e ci si ridesta, stupiti, dal viaggio interiore.

Ci vuole esercizio quotidiano, certo, perché una mente compulsiva porrà tutti gli ostacoli che conosce per interrompere la meditazione: pensieri terrificanti, dolori muscolari, sensazioni fisiche fastidiose e, in generale, una risposta di attrito all'immobilità e al silenzio.

All'inizio, dopo l'entusiasmo iniziale, la mente sarà come un toro imbizzarrito, perché, fino a quel momento, nessuno si è mai azzardato a disciplinarla. E dietro questa opposizione mentale c'è il terrore dell'ego di morire a sé stesso.

Fino a che non si inizia a meditare, l'ego non viene messo in discussione, per cui non teme di morire. E di fronte all'impermanenza, non accetterà la natura delle cose, ma scaricherà le colpe a fattori esterni, facendo sì che si mantenga l'illusione di una stabilità che non esiste nella dimensione temporale.

Così si faranno discorsi come: se mio padre non è vissuto fino a cento anni, è colpa della sfortuna; se la mia casa ha preso fuoco, è colpa della vicina che mi ha gettato il malocchio; se mio figlio se ne è andato di casa, è colpa della fidanzata che gli ha fatto il lavaggio del cervello.

A fronte di fatti oggettivi che possono aver contribuito a un certo movimento delle cose, di base l'azione del cambiamento ha agito perché una situazione non permanesse oltre le sue possibilità. Il problema non è il cambiamento in sé, che è fisiologico, ma la nostra non accettazione di esso. Senza contare che rimandare certi cambiamenti che sentiamo di dover attuare, potrebbe portare a conseguenze peggiori di quelle che paventiamo se, invece, assecondiamo quel moto.

Poiché, come ci dice Marco in questo capitolo, non è possibile trovare stabilità laddove persiste il tempo, va da sé che possiamo trovarla soltanto nell'Eternità.
I credenti pensano che si possa accedere alla dimensione eterna soltanto dopo la morte, ma noi siamo continuamente immersi nell'eternità.
I corpi ingannano, per questo crediamo di esserne separati.

Ho scritto dell'esperienza meditativa come perdita della dimensione temporale. È questo il ponte che, attraverso un atteggiamento anche fisico, ci consente di valicare il limite temporale. Immobilità e silenzio ci consentono di dimorare nel nostro Centro, in quello che in India chiamano Brahman e che i mistici cristiani sanno essere Dio.

Immobilità e silenzio. Quanta differenza dal mondo in cui viviamo! Essa ci spinge sempre verso il movimento, la velocità, il rumore, condizione che troviamo, a livello mentale, anche nella mente di chi si avvicina alla meditazione.

Una mente quieta è una mente che sa osservare e, nell'osservazione, sarà veramente libera, perché non più condizionata dalle immagini interiori.

Una mente quieta si rapporterà naturalmente alla transitorietà del mondo materiale, vivrà il dolore, la gioia, la tristezza, la rabbia come qualunque altra mente, ma non si identificherà più con quei sentimenti e potrà lasciarli andare senza essere turbata dalla loro impermanenza.

Questo accadrà perché la mente diverrà l'occhio del Centro e il punto di vista non sarà più quello dell'ego, ma del Centro. Così si starà nella stabilità, così si diverrà ciò che realmente siamo: eternità.


*Citazione da Harry Potter.

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