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Caligorante

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Accadeva duemilaottantasei anni fa. 8 novembre 63 a.C. Marco Tullio Cicerone convoca il senato nel tempio di Giove Statore sul Palatino, un edificio simbolicamente legato alla difesa della città da parte del suo fondatore Romolo contro l’aggressione dei Sabini, per pronunciare la prima (quella del celeberrimo incipit “Quousque tandem”) delle quattro catilinarie, le orazioni che contribuirono a sventare la congiura del senatore riottoso Lucio Sergio Catilina. La figura di Catilina è fatta oggetto di una grottesca mostrificazione: incestuoso, folle, corruttore dei costumi e della gioventù romana, che spesso figurava tra i suoi sostenitori. Il testo è seminato di minacce oblique: ti sarà risparmiata la vita, ma sarai sottoposto a stretta sorveglianza; non sarai costretto a lasciare l'urbe, ma te lo consigliamo. Non mancano le finezze retoriche: il console Cicerone, ricorrendo a un'ardita prosopopea, dà voce alla nazione per biasimare il nemico pubblico di Roma, e inoltre punta sulla prossemica sottolineando il totale isolamento del reietto, così come lo vediamo nell'affresco di Cesare Maccari a Palazzo Madama: nessuno dei senatori gli rivolge il saluto, e i seggi intorno al suo rimangono deserti. È un momento di grande Storia e di alto teatro politico. Catilina alla fine inveisce contro l'oratore e raggiunge l'esercito del suo luogotenente Manlio. L'indomani Cicerone pronuncia la seconda orazione: rintuzzando le voci che lo accusavano di avere obbligato un innocente ad abbandonare la sua patria, dipinge Catilina come una belva che si era sentita sfuggire dalle fauci la città che stava per dilaniare. La congiura di Catilina è stata per tanti secoli sminuita o sopravvalutata, di volta in volta presentata come un episodio marginale o la prima rivoluzione romana, lo zenit dello scontro tra optimates e populares, boni e perdidi, buoni e cattivi cittadini nell'ottica ciceroniana. Sia come sia, la congiura si inscrive nella crisi della libertas repubblicana e nella conseguente corsa al potere che occupò gran parte del I secolo a.C. I problemi da cui scaturirono non solo la congiura ma anche le altre lotte del II e I secolo a.C, risalgono alla sconfitta di Cartagine e all'assoggettamento del Mare nostrum. La vittoria estese il latifondo, incoraggiò un'agricoltura scarsamente sviluppata incentrata sulla coltivazione estensiva e la manodopera servile che affluiva abbondante da ogni angolo del Mediterraneo. Le riforme dei Gracchi, ridotte a bieco assistenzialismo, ossia a distribuzione gratuita di grano per tenere la plebe al guinzaglio del clientelismo, allargò la base di una massa urbana parassitaria, manovrata a piacimento dal patriziato. Nessuno si sognò di mettere mano a una seria riforma agraria, poiché le terre erano una fonte di reddito e di potere da non parcellizzare. Se la ricchezza divenne un valore in sé, la povertà venne disprezzata, e ciò in seguito sarà terreno fertile per la pauperofilia cristiana. Catilina solitamente viene ritenuto un epifenomeno del genio oratorio di Cicerone. In realtà era un populista ante litteram con un cursus honorum (a quarant'anni era già stato questore, edile e pretore) invidiabile e una biografia controversa e lati oscuri: giovane gregario e all'occorrenza boia del “reazionario” Silla al tempo delle proscrizioni e dell'eccidio dei seguaci di Mario; veterano della guerra contro Mitridate re del Ponto; beniamino dei plebei gracchiani nella fase finale della sua parabola: un aristocratico rinnegato che tuttavia non si sentì mai democratico. Era insomma un outsider, un underdog. Allorquando decise di puntare al consolato, trovò l'ostilità feroce del blocco – che aveva in Cicerone il suo cantore – composto da aristocratici e cavalieri, disposti a qualsiasi broglio pur di spuntarla. Alla fine, scelta la via della sedizione, verrà liquidato dai generali di Pompeo nella battaglia di Pistoia. Cicerone fu tempestato di accuse: di abuso di potere; di gestire con piglio autoritario (Rex) la repressione anticatilinaria; di essere un tiranno, al pari di Silla, dedito ad eliminare fisicamente gli avversari. Anni dopo, al tempo dell'ascesa di Cesare, fu rimproverato di lassismo e di non aver saputo salvare la Repubblica. Cicerone fu un coacervo di contraddizioni: umanista e politico cinico e opportunista; maestro dell’oratoria, voce di Roma e Principe della parola, ma non bocca della verità; campione del diritto, baluardo della Repubblica e suo involontario becchino. Le sue orazioni sono incise negli annali della Storia, le sue opere letterarie costituiscono il modello della lingua latina. Ha sperimentato gli alti e i bassi della popolarità: portato in trionfo, dopo la sconfitta di Catilina, fin sui gradini del Campidoglio, incoronato dal popolo, fu insignito - per la prima volta nella storia di Roma - dal Senato del prestigioso titolo di pater patriae. Un titolo che stride con la sua fine miserabile, dato che nel 43 a.C. verrà scannato e fatto a pezzi dai tirapiedi di Marco Antonio. Originally posted in:
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"I' mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando"

Purgatorio, canto XXIV

Per me, la scrittura è questo e credo che i miei due amori, Dante e San Giovanni apostolo, la rappresentino alla perfezione.

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«Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch'io;
e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio.»
(Rut 1:16)

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"Vedesti", disse, "quell'antica strega

che sola sovr'a noi ormai si piagne;

vedesti come l'uom da lei si slega.

Bastiti, e batti a terra le calcagne;

li occhi rivolgi al logoro che gira

lo rege etterno con le ruote magne".

Purgatorio, canto XIX, vv. 58-63

Siamo alla fine del girone degli accidiosi e Dante fa un sogno: una femmina "balba (balbuziente)", cieca, storpia a mani e piedi e dal colorito smorto. Ma l'essere umano non la vede nel suo reale aspetto, bensì attraverso il filtro del suo richiamo seduttivo. Questa femmina, infatti, è un'allegoria dell'incontinenza verso i piaceri terreni, in particolare l'avarizia, la lussuria e la gola, puniti nei gironi successivi. È quindi, questo, un sogno che anticipa quello che Dante dovrà incontrare nel suo viaggio.

Al suo risveglio, Virgilio nota che la sua mente è ancora occupata dal ricordo del sogno e lo incita a passare oltre attraverso i versi che ho scelto di riportare.

Virgilio è sbrigativo e lo esorta a non perdere tempo a rimuginare sul peccato, ma di andare avanti e guardare alle cose celesti.

Troppo spesso, di fronte alle miserie che ci abitano, ci crogioliamo nel nostro non essere degni di accostarci ai santi, troppo spesso ci giudichiamo "troppo peccatori" e questo giudizio implacabile si pone come un ostacolo al cammino verso Dio.

Ma, una volta preso atto di non essere immacolati e perfetti secondo la nostra idea di perfezione, dobbiamo avere il coraggio di presentarci a Dio così come siamo: pieni di difetti, manchevoli, fallibili.

I nostri genitori non ci amano forse nonostante i nostri errori? E come potrebbe Dio non farlo, se sinceramente ci volgiamo a Lui con tutto il carico di vergogna, ma anche di devozione, che portiamo addosso?

Ma a Lui dobbiamo guardare, non a noi stessi, perché dalle tenebre si esce grazie alla luce, e la luce che possiamo trovare in noi non è altro che luce divina.

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  • I fatti hanno la testa dura di Daniele Perra In attesa del "secondo avvento" di Donald Trump, ricordiamo i grandi successi della sua prima parusia...
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