Ogni discussione sulla necessità di uno Stato, nasce su una base che ne vulnera la credibilità: da una parte, pensare che lo Stato sia un abusivo che voglia infastidire un'umanità altrimenti prospera e felice e dall'altra immaginarselo come una sorta di padre munifico che lotta per assicurare il Bene. In realtà, chi è lontano da queste ubbie, sa perfettamente che il core business di ogni Stato è di proteggere i più deboli. Tutto questo non ha una ratio morale ma quella, essenzialmente pratica, che se un sistema accumula troppi poveri, due saranno i risultati: i poveri smetteranno di consumare, facendo impoverire i ricchi e, soprattutto, possono essere radunati come manovalanza da qualcuno che può rovesciare lo Stato, andando a sequestrare soldi e beni dei ricchi. Non è niente che non si sia già verificato innumerevoli volte. Quindi, ogni liberale di buonsenso, certamente non felice di destinare parte dei propri guadagni a chi non se li è meritati, un minuto dopo sa anche che, tra i due mali, meglio rinunciare a qualcosa che ritrovarsi al potere qualcuno che dice che i ricchi sono degli sfruttatori da ammazzare.

E' con questa premessa che si può ragionare, in maniera matura, nel merito delle idee di Javier Milei, due mesi fa eletto presidente dell'Argentina e salito alla ribalta per alcune sue proposte che hanno mandato in sollucchero i dissidenti di mezzo mondo. E, senza indugiare più di tanto in biografie, da cui emerge il tratto di un personaggio molto simile a Berlusconi per poliedricità e personalità (ex-calciatore, ex-musicista, ex-imprenditore, gran comunicatore, un tipo davvero singolare proprio come l'originale) il suo programma ultraliberista teorizza sostanzialmente il concetto di stato minimo, che non deve minimamente interessarsi all'economia, fino addirittura a toccare alcuni punti cardine della protezione sociale, tra cui scuola e sanità.
Il punto è che, così come la mosca può rovinare il sapore di una buona minestra, così anche la struttura di un buon programma liberale può essere rovinata da qualcosa che di fatto otterrebbe il risultato di trasformarsi nell'opposto di quel che viene auspicato. Il che pone una domanda: Milei può davvero rappresentare in maniera adeguata le idee liberali?

Al netto di alcune proposte oggettivamente intenibili - la legalizzazione della vendita di organi e delle droghe - e di una visione ideologica populistica del concetto di Stato equiparato tout court ad un'associazione criminale - come se lo Stato fosse un abusivo calato dall'alto per dare fastidio a gente che altrimenti vivrebbe nella pace e nella concordia e non invece una naturale evoluzione della socialità umana - non c'è dubbio che alcune idee di Milei siano condivisibili. Condivido l'idea che il privato sia un amministratore molto più oculato del pubblico, condivido il libero mercato e sono anche d'accordo sull'idea che non debba esistere un sistema scolastico universale. Purché uno scenario di questo tipo sia delimitato da confini ben precisi. Si può, per esempio, essere favorevoli alla privatizzazione di Alitalia, della RAI e di qualsiasi azienda di stato, che spesso sono carrozzoni di politici nullafacenti e di amanti varie. Ma un conto è se aziende che costituiscono un pezzo importante della sovranità economica di un paese vengono sostituite da imprese private italiane, altro conto è se vengono colonizzate dalla tedesca Lufthansa o dall'americana Sky. Perché è proprio questo il punto. Alcune delle tesi di Milei non c'entrano niente col liberalismo e, tra queste, la meno liberale di tutte - dietro la convinzione sbagliata che invece lo sia - è l'abolizione della banca centrale del suo paese e teorizzare dunque la conseguente (ri)dollarizzazione. Che sappiamo bene quanto sia costata all'Argentina in passato.
Proprio qui casca l'asino di molti liberali che non comprendono che il libero mercato - per poter essere davvero quel che ambisce ad essere, ossia uno spazio dove vince il più bravo - necessita di uno Stato forte che garantisca il rispetto delle regole. Senza uno Stato a salvaguardare la competizione - impedendo, per esempio, che le aziende facciano i cosiddetti "accordi di cartello" oppure che vengano sfavorite da altre aziende che hanno una legislazione fiscale e giuslavorativa più leggera - il mercato si trasforma in un'arena dove vince non l'azienda che produce cose di qualità, ma quella che ha sede in paesi fiscalmente più favorevoli o dove si tutelano meno i diritti dei lavoratori, col risultato inevitabile proprio di alterare il libero mercato. Uno Stato che non batte una propria moneta e non fissa dei confini, sostanzialmente mette degli squali in una vasca dove ci sono tonni, col risultato che gli squali presto mangeranno tutti i tonni. Ed è qualcosa che abbiamo visto anche qui in Italia quando, con la sciagurata decisione di Ciampi di scorporare la Banca d'Italia dal controllo del Tesoro, il debito pubblico ha preso l'impennata che ben conosciamo, sottraendosi al controllo della politica e finendo nelle mani della finanza internazionale. Ed è inutile dire che questo non ha minimamente liberalizzato il mercato italiano.
Viceversa, un vero e sano paese liberale si occupa di dare la libertà a tutti di produrre, purché le imprese battano tutte la stessa bandiera e usino la stessa moneta. Esattamente ciò che avviene in Russia paese assolutamente capitalistico - con buona pace dei fessi che sostengono che Putin sia il nuovo Stalin - dove fare impresa (e parlo per esperienza diretta) è immensamente più facile che farla in Italia, a patto che tutte le aziende siano russe, che seguano leggi e tasse russe. O che comunque le aziende non russe non pretendano di dettare la linea alla politica locale. Viceversa, il Berlusconi al sapor di matè o, se preferite, di asado, sembra ignorare - se in buonafede - che agli americani non interessa esportare il libero mercato ma il libero mercato americano. Nella visione dell'Unione Sovietica Americana, il diritto di un cittadino non angloamericano di prosperare non è contemplato, se tale prosperità interferisce con quella dei cittadini angloamericani. Questa enorme contraddizione, mai capita da molti liberali all'amatriciana - di cui l'Italia è piena - innamoratisi dell'America nella folle idea che agli americani freghi qualcosa che in Italia ci sia più libero mercato, prima o poi, impatterà sulla vita degli argentini, i quali, quando proveranno ad aprire nuove imprese che battano la bandiera albiceleste, scopriranno che i primi nemici sono proprio quegli americani che con una mano predicano il libero mercato e con l'altro azionano tutte le leve culturali e politiche del socialismo reale per sabotare ogni impresa che non batta bandiera americana, secondo uno schema visto in Italia proprio con Berlusconi.

Javier Milei, in sintesi, è la misura del legittimo e sacrosanto desiderio dei cittadini argentini di vivere e prosperare in pace senza il Leviatano tra i coglioni. E che la sua figura stia diventando popolare su scala internazionale anche in vasti strati del dissenso, indica l'ampia misura della trasversalità di questo desiderio. Ma uno Stato non è un abusivo calato dall'alto. Esso risponde ad un core business ben definito che è la protezione sociale. Se i più deboli non si sentono protetti, quando l'ansia di non arrivare a fine mese è tale da togliere il sonno e l'appetito, il rischio è che questi diventino manovalanza di associazioni criminali o di organizzazioni eversive, dietro le quali, sullo sfondo, si materializzerà il ritorno di fiamma del tanto disprezzato Leviatano che, invocato a gran voce dai più deboli, ritornerà più aggressivo e prepotente che mai. Che è poi quello che si è manifestato proprio nel vicino Venezuela dove alla sbornia neoliberista di Perez e Caldera, si sostituì il socialismo autoritario di Hugo Chavez prima e di Maduro poi.
Questa consapevolezza è il vero salto di qualità che il liberalismo - economico, sociale e civile - deve finalmente compiere, se non vuole scomparire assieme alle sue conquiste.

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È un articolo puntuale. Il grande capitale americano ma apolide è effettivamente contro una sana libertà di impresa e concorrenza leale anche perché oramai è sganciato dalla produzione. Aggiungo che, secondo me, inizia ad essere pure contro la piccola proprietà privata per questo è abbastanza giusto parlare di UE e di Usa novelli soviet.
 

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Franco Marino
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