Un luogo comune tristemente famoso - non nel senso che sia vero ma che ormai ce lo ritroviamo ogni anno in tutte le salse - è che gli italiani non amino leggere, che appartiene alla stessa famiglia dei luoghi comuni che iniziano con "gli italiani". Ma invece di criticare i luoghi comuni in quanto tali, chiediamoci se abbiano un fondo di verità.
Che esista un'unica tipologia di italiano, è una scemenza talmente sgamabile che si potrebbe retoricamente chiedere a chi la pronunzia "ma allora tu sei così?", infilandolo nel vicolo cieco dello svelamento. E così come, una volta capito lo spirito di una famiglia, si capiscono tutti quelli che ne fanno parte, così una volta sgamato un luogo comune padre, si capiscono anche quelli derivati. E dunque poniamoci la domanda: è vero che gli italiani non leggono?


Se fosse davvero così, le case editrici sarebbero tutte fallite, tutti gli autori avrebbero cambiato mestiere. E invece, considerando che molti scrittori prosperano felicemente, che alcuni, vendendo libri e fondando giornali, si fanno una nuova auto, una nuova casa, una seconda casa, forse ci si dovrebbe chiedere quali scrittori davvero piacciano agli italiani. E se è lecito non simpatizzare per Fabio Volo o per la Lucarelli, nessuno costringe i loro lettori a comprare i loro libri. In qualche modo ciò che scrivono viene letto, dunque ha un valore. La convinzione che il calo delle letture vada scaricato sul lettore e che gli italiani vadano "educati" a leggere "le cose giuste", presuppone lo storico difetto - tipico dei sistemi non liberali - del pedagogismo. Certamente, a scuola, un alunno si vede imposti alcuni testi invece di altri. Ma se uno scrittore vuol fare capolino nel tempo libero dei lettori - che tra una lettura o l'altra, sono impegnati a sudarsi il pane - a meno di non riproporre il meccanismo della corazzata kotiomkin, l'unico modo per farsi leggere è farsi voler bene. Un principio difficilissimo da digerire. Ed è strano che a non capirlo siano, spesso, proprio persone che si spacciano per liberali. Un vero liberale sa che niente gli è dovuto. E' lui a dover piacere, non il lettore a doversi adeguare a lui. Per cui, quando alcuni scrittori e giornalisti si lamentano di non essere letti - perché, secondo loro, prevarrebbe l'analfabetismo funzionale - non capiscono che il problema è proprio l'impostazione di fondo: pensare che leggerli sia un dovere. La cosa diventa comica quando la scrivono alcuni utenti su quel monumentale sciocchezzaio che sono i social, dove un esercito di signori nessuno, al centesimo like, si convincono di essere ad un passo dall'essere invitati presso qualche tribuna televisiva.


Il lettore - questo manca alla comprensione di molti - non è un cretino da indottrinare ma un amico che ci dedica parte di quel suo tempo che non è affatto obbligato a riservarci. Non ha voglia di essere intimidito, scocciato, insultato. Si fosse anche i più grandi letterati della storia, bisogna porsi nei suoi confronti con semplicità. La regola del giornalismo, sintetizzata pregevolmente da un giornalista italoamericano di cui mi sfugge il nome, è che "quando scriviamo, ci deve capire anche il lattaio dell'Ohio". Quando ero bambino e mio padre ogni giorno comprava diversi giornali - nell'idea che andassero letti tutti i punti di vista per poi fare una media - per non annoiarmi, mi capitava di trovarmi a leggerli. Tra questi c'era Repubblica, il cui padrone indiscusso era Scalfari, e il Giornale di Montanelli. Solo che mentre del fondatore di Repubblica non sopportavo nulla - la spocchia, l'arroganza, il linguaggio pomposo e avvocaticchio - e soprattutto, non capivo nulla, viceversa Montanelli era una letizia per il cuore. Tutto mi era chiaro, capivo tutto alla prima lettura, nonostante avessi nove o dieci anni. Anche perché, a differenza di Scalfari, il vecchio Indro non si poneva dall'alto in basso, sottintendendo che il giorno dopo mi avrebbe interrogato, ma si comportava semmai come quel nonno attorno al quale, nel salotto di casa, i nipotini si radunano per farsi raccontare gli aneddoti dei tempi andati. Tramite il fondatore del Giornale, via via, scoprii altri miei grandi punti di riferimento, italiani (Prezzolini e il mio conterraneo Augusto Guerriero meglio noto come Ricciardetto) ma anche stranieri, come Aron, Cioran, Ionesco. E non posso non riconoscere che un suo allievo, Marco Travaglio, insopportabile in moltissimi aspetti, almeno ha il pregio di scrivere da Dio. Qual è il segreto di tutti questi artigiani della penna? Sempre lo stesso: la linearità, la semplicità, la scorrevolezza, la comprensibilità, con quella spolverata di ironia che, come il parmigiano, a volte insaporisce un piatto già buono. I loro testi non richiedono nessuna rilettura, nessuno sforzo, tanto che sembrano sempre brevi, soddisfano il palato e saziano la mente.

Il giornalista e lo scrittore "di razza" – un esempio contemporaneo è Vittorio Feltri – di solito si limitano ad una sola idea e la espongono col tono di chi parla con un amico, al caffè. Feltri non posa ad intellettuale, non posa a profeta, non rivela verità immortali ed è disposto a peccare più di volgarità che di sussiego. Anche se ha diretto molti giornali, e ne ha persino fondati, rimane umile dinanzi al lettore. Si è colti nel pensiero, non nel linguaggio. Lo scrittore che definisce ignorante il lettore che non vuole leggerlo è come il negoziante che insulta i clienti che non vogliono comprare i suoi prodotti. Alcuni, in effetti, qualche insulto sembrano chiamarselo. Ma quando se ne disprezzano nove su dieci, si è di fronte ad un bivio: o quell'unico che apprezziamo ci fa guadagnare al punto da pareggiare i bilanci, oppure semplicemente si chiude bottega e ci si mette a vendere altro. Perché, così come abbiamo detto all'inizio dell'articolo, non sta scritto da nessuna parte che si debba leggere qualcuno, non sta nemmeno scritto che si debba scrivere qualcosa e, men che meno, che si debba tenere un blog, un giornale.
Gli italiani non sono un popolo di trogloditi che non sanno leggere: semplicemente, vogliono uno scrittore che li ami davvero. Nessuno trascorre volentieri il proprio tempo con chi non lo ama.

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Io ho quasi trent'anni e ti leggo da quando non ne avevo neanche dieci, e già a quel tempo capivo tutto quello che scrivevi. Penso che basti questo a definire la coerenza tra questo articolo e la tua storia di blogger.
 
A me piacciono gli scritti che "scorrono" come un ruscello con qualche spruzzo. I tuoi lo fanno e li leggo anche se talvolta scrivi banalità ma le scrivi bene😄 . Inoltre il mio metro di misura é la traducibilità di un testo. Se l'inglese si presta a qualche strafalcione ciò non é possibile con il tedesco che ha regole grammaticali complesse e quattro casi, ma neppure in francese che ha una struttura sintattica precisa così come lo spagnolo che agli italiani sembra facile,
non parliamo poi del russo con sei casi da declinare!! Con o tuoi scritti vado liscia ovunque😍
 
Probabilmente a me sembrano banalità perché certe tue deduzioni mi paiono ovvie, ma, ora che ci penso, ciò é dovuto al fatto che a certe soluzioni sono arrivata prima di te non per genialità ma per esperienza di vita. Mi dimentico di essere anziana. Me ne scuso
 

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Franco Marino
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