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L'uomo è una specie simbolica, che comunica attraverso linguaggio astratto.
Basta già analizzare la frase precedente per trovare almeno tre parole senza corrispondenza nel reale. Il nostro schema comunicativo è immerso nella realtà sociale e si fonda su convenzioni.
Quando parlo di "anima" o "derivati" sto parlando di cose astratte senza piano fisico, ma che riuscite a capire perché siamo nello stesso contesto.
Il linguaggio prima e la scrittura dopo hanno esteso il piano astratto. Attraverso uno scritto ci siamo appassionati delle avventure di Rama e Ulisse. Questi non sono passaggi irrilevanti, la creazione di storie obbedisce alla struttura della nostra mente, alla nostra auto-percezione. Creiamo ogni giorno la nostra identità in base a una storia, a un processo di ricostruzione e mediazione tra passato, presente e futuro (progettualità). Il narrare sarebbe quindi una delle attività più tipiche della nostra specie.
Ieri, mentre tornavo dalla presentazione del libro (La terra di Itzamnà, edito da Kulturjam.it) e pensavo alla presentazione di sabato dell'altro (Italia eterna Cenerentola. La politica estera della seconda repubblica, edito da Area Pascale - Mario Pascale editore), mi son chiesto: cosa ci spinge a condividere idee?
Nel mio caso, il bisogno di condividere riflessioni che mi sorgono spontanee, quando leggi e studi senti il bisogno di condividere con gli altri questo percorso mentale. La scrittura, la lettura e lo studio sono tra le poche consolazioni in questa valle di lacrime; in finale, anche quando tutto sembra perso continuare queste tre attività, è l'unico modo per impiegare il proprio tempo.
Anche oggi che la nostra civiltà sembra a fine ciclo (economico, demografico, politico), l'Europa sembra messa ancora peggio in questo ciclo, continuare a studiare, leggere, scrivere (e quindi in qualche modo tramandare, rielaborando) è l'unico modo per dare un senso al proprio passaggio. Il Mediterraneo passò già una grande fase di declino, col finire dell'Impero Romano d'Occidente e il caos in quello d'Oriente e fu proprio nello studio e nella trasmissione dello stesso che si ebbe il rifiorire dei due diversi poli (in modi e momenti diversi).
Gli Arabi rielaborarono e diffusero (a nostro favore) il sapere greco, quello persiano e indiano; il monachesimo si fece cinghia di trasmissione del sapere antico e della complessa teologia medievale con il mondo moderno.
Oggi stiamo assistendo a un rimontare incredibile della comunicazione colta e non, tutti scrivono e condividono, tutti riflettono e organizzano un loro messaggio (audio, video, scritto). L'effetto spiacevole di questo (in partenza positivo) è il senso di estraneità e di alienazione che si ha dalla comunicazione; il singolo si trova davanti a una valanga di informazioni e messaggi che non è più nemmeno in grado di elaborare, decostruire. Il comunicatore diventa ricevitore passivo e buona parte della produzione viene in realtà dispersa, se oggi qualcuno di noi fosse il nuovo Dante lo ignoreremmo sommersi invece da immagini di gattini (o nel mio caso da reel di cuccioli di volpe e coniglietti).
Perché continuare a scrivere allora? Un po' per continuare a formare la propria identità e quella narrazione interiore, per non trasformare il proprio pensiero in uno sterile soliloquio continuo; un po' per continuare a mandare avanti (con il proprio piccolissimo fiammifero) una auto-riflessione sul reale, quel processo di lettura critica che ha caratterizzato tutte le comunità umane e che in Occidente vanta una lunga tradizione.

Vi ricordo perciò la presentazione di domani (16 settembre), alle 17:00, presso viale Giotto 17 (Roma) del libro "Italia eterna Cenerentola", in cui io, Franco Bartolomei, Mario Michele Pascale, Alexandro Sabetti e Ferdinando Pastore parleremo del testo e di politica estera italiana, proprio per tenere in piedi quella fiamma di pensiero critico di cui tanto abbiamo bisogno.

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