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L'Europa moderna vide la nascita del capitalismo come modello socio-economico, ma cosa è storicamente il capitalismo?
Un sistema di produzione? Un sistema legato all'industria?
Un rapporto tra proprietà-lavoro? Legato quindi all'esistenza di un settore di sottoposti?
La mercificazione dei rapporti sociali? O la tendenza ad investire il capitale per averne altro.
Un po' tutte queste cose, anche se l'ultima è forse la caratteristica più pregnante.
In ogni epoca storica sono vissuti dei lavoratori dipendenti (anche nella Firenze del '300, pensiamo ai ciompi), così come possiamo affermare che l'industria fu complice della nascita e della diffusione del capitalismo, che scienza e tecnica furono gli alfieri di questa trasformazione antropologica.
La scienza è complice del capitalismo, creando un mito del progresso, della crescita permanente, una possibilità di svelare sempre nuovi orizzonti, di scoprire nuove terre, nuove risorse, nuovi mercati e stimolare così la domanda, la crescita.
Non vi potrebbe essere società capitalista, senza tecnica.
Così, gli olandesi diventano esperti mercanti, abili banchieri e finanzieri, stampatori e capitalisti; succedono agli spagnoli nel mercato mondiale, creano la prima vera doppia morale nella storia: gentili mariti e padri di famiglia, ottimi lettori delle Sacre Scritture e magari bravi sindaci o cittadini partecipi della vita del proprio paese, ma anche mercanti di schiavi, distruttori di foreste e villaggi indigeni.
Questa eredità fu raccolta circa un secolo dopo dagli inglesi, che si imposero sui Paesi Bassi, sulla Francia e sull'Impero Moghul.
Londra fu finanziata dai banchieri olandesi in cerca di migliori investimenti, tanto quanto la crescita cinese è stata finanziata dal credito e dalla multinazionali USA. Ancora una volta, vediamo come nel capitalismo siano presenti diverse forze in competizione tra loro, alcune in calo e altre in ascesa e spesso sono i capitali della potenza calante e a foraggiare la crescita dello sfidante. Il vecchio centro saturo nei consumi, con una popolazione invecchiata e poco abituata ai sacrifici (non è un luogo comune, è una delle caratteristiche principali delle società opulente), perde competitività: tante tasse, una popolazione pigra e con un basso tasso di occupazione, spesso spese militari ingenti per mantenere i vecchi privilegi. La potenza in ascesa presenta invece caratteristiche positive: poche tasse, pochi debiti, una popolazione giovane e volenterosa, un alto tasso di innovazione e competitività e soprattutto la capacità di rassicurare i capitali stranieri (i quali quindi defluiscono dal vecchio al nuovo centro).
Spesso il vecchio centro pensa di avvantaggiarsi di questo scambio: importare merci a basso costo per gonfiare il tenore di vita della popolazione in impoverimento e vendere il proprio debito, in cambio di una cessione controllata del proprio potere economico, finanziario e talvolta militare. Questo calcolo in genere evita la guerra frontale, ma non risparmia un declino sempre più deciso del vecchio egemone a favore del nuovo.
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