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Ieri riflettevo su uno dei testi più influenti della storia mondiale "Il Sutra del Loto"; testo centrale per tutta la formulazione buddhista cinese, coreana e giapponese, in parte anche centro-asiatica, tibetana e tardo indiana.
Il testo è eccezionale, in poche pagine riafferma la presenza della natura di Buddha (buddhitá) dentro ogni essere vivente; il messaggio è esclusivo (non esistono altre vie di salvezza, sono solo espedienti elaborati dal Buddha per salvarci) e al contempo inclusivo (tutti possono salvarsi, avviandosi sulla via del bodhisattva, colui che ricerca la salvezza di tutti gli altri esseri viventi).
Il testo è stato tradotto e reinterpretato nei secoli. Uno dei maggiori interpreti e forse il più noto in Occidente è Nichiren, un monaco giapponese particolarmente devoto al sutra. Non voglio entrare nel merito del testo o di Nichiren, ma voglio usare questo espediente per parlare del rapporto ermeneutico che un grande testo stabilisce in un nuovo contesto.
Il sutra scritto (raccolto?) a cavallo dell'era volgare in Asia Centrale presenta elementi di polemica con le antiche scuole buddhiste (si passa da una visione individualistica della salvezza a una collettiva), al contempo viene reinterpretato a più riprese in Cina o Giappone in base alle necessità storiche del momento. Lo stesso Nichiren fu così bellicoso nella predicazione per opporsi al gruppo rivale della Terra Pura (altro gruppo buddista concentrato sul mantra "Namu Amida Butsu" per ottenere la rinascita in un paradiso intermedio, una terra pura, in attesa di salvezza).
Funziona così l'assorbimento di un grande testo, viene accolto criticamente e talvolta reinterpretato in base al momento; questo non ne sminuisce in alcun modo il valore religioso-filosofico.
Il sutra (formalmente mai predicato dal Buddha storico) viene rivendicato oggi (dagli storici delle religioni di fede buddista) come messaggio universale, conseguenza logica dei primi insegnamenti: se ognuno di noi può diventare Buddha, allora esiste un seme dentro ciascuno e questo va solo trovato attraverso la pratica e la devozione (banalizzando molto). Il sutra non svela nuovi insegnamenti metafisici, l'impianto è quello del buddhismo originario (e quindi di derivazione vedica: Samsara/nirvana; attaccamento-desiderio-ignoranza-rinascita). In qualche modo, la diffusione stessa del sutra fu parte di quel processo di indianizzazione che in modi e gradi diversi investì tutta l'Asia orientale nei primi secoli dopo Cristo (a ulteriore riprova che una civiltà che cresce e commercia, condiziona le vicine in mille modi diversi).
Insomma: se è difficile pensare che un Buddha astorico possa miliardi di anni fa aver predicato questo Sutra, nulla sminuisce il fatto che un gruppo di monaci e monache ribelli in una arida e periferica regione al nord dell'India (all'epoca centro del buddhismo) possano averlo elaborato e diffuso assieme, come conseguenza logica della loro speculazione metafisica.
Siamo sempre lì, al senso delle parole e alla concretezza della idee, di quel piano di astrazione che la mente umana sola può creare (e di cui il Sutra si occupa in qualche modo).
Un libro (una tradizione) non è solo un libro è parte di un triangolo ermeneutico tra soggetto - testo - contesto.
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