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La festività segna un limite tra umano e non-umano.
In queste settimane mi sono interrogato sul limite e sul se la nostra civiltà (rischio nucleare, disparità, intelligenza artificiale, ecc) lo stia valicando.

Ho rivisto il II atto del Mahabharata di P.Brook, in una scena Yudhisthira risponde a un dio nascosto:
"Cosa è dolore? L'ignoranza
Un esempio di veleno? Il desiderio
Di sconfitta? La vittoria
Quale è il tuo contrario? Me stesso
Cosa è la follia? Una strada dimenticata"
Arriva dopo un discorso sull'ingiustizia di vivere nella foresta pur essendo re, Yudhisthira risponde che questo è il Dharma, l'ordine naturale, la legge che ci permette di non vivere nell'ombra: l'essenza della filosofia indiana.

L'Occidente sta valicando la legge naturale?
Giorni fa, nel podcast Maurizio Tirassa mi ha dato uno schiaffo teorico (di quelli belli), suggerendo che anche gli sciamani amazzonici possedessero "una tecnica": la conoscenza della giusta quantità di sostanze da assumere in base a età, peso, ecc.
Anche quella è tecnica! Ma allora cosa rende la tecnica occidentale così pervasiva (un destino)?
La volontà di potenza, rispondiamo, ma non si corre il rischio di creare una nuova metafisica?

In questa giornata se avete tempo guardate Fitzcarraldo di Herzog. Come chiamare la volontà del protagonista di portare la musica classica nel mezzo della giungla, se non di potenza?
Come non pensare alle fortune di Manaus -città nella foresta-, allo sfruttamento del caucciù e quindi all'industrializzazione e globalizzazione di inizio '900, alla base di quel rapporto centro-periferia tra Nord e Sud del mondo?

La tecnica è problema di tutta l'umanità o lo è solo per l'Occidente? È per sua natura "un destino"?
Sono questi i dissidi che viviamo all'alba dell'era dell'uomo-macchina?
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Franco Marino
Franco Marino
Buona Pasqua caro Gabriele
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