Non sto guardando Sanremo, quindi non ho aggiornamenti precisi sui monologhi, la propaganda mainstream e tutto il carrozzone annuale. Non è un ignorare per protesta, è che io non l'ho proprio mai guardato perché ho una resistenza innata verso le mode e le tendenze del momento.
Tuttavia è impossibile non sapere qualcosa sul vestito della Ferragni, i calci alle rose di Blanco e lo stato semi-confusionario di Grignani, quando segui pagine di meme sui social. Per questo ho saputo del monologo di Chiara Francini sulla maternità e ne ho sentito alcuni spezzoni. Ho cercato così il monologo integrale e devo dire che vi ho trovato dei punti interessanti.

Per motivi personali, non sono (ancora) madre e non so se lo diventerò mai. Ci sono il desiderio e la volontà, ma attualmente non c'è la possibilità, per me e il mio compagno, di concretizzare questa speranza.
A trent'anni inizi a pensare più frequentemente a questa opportunità, perché hai la sensazione di avere meno tempo a disposizione e di dover fare tutto il prima possibile.
Ho passato un periodo, quello in cui il desiderio era molto forte, di invidia verso le donne incinte, di paura di non poter diventare madre per qualsivoglia motivo. Desiderio e paura si accompagnano spesso, per cui si vive nella frustrazione di non poter realizzare ciò che si vuole in un tempo stabilito dal proprio arbitrio, dalle proprie aspettative e convinzioni.

Nel monologo, la Francini dichiara, tra le altre cose, di sentire una voce, nella sua testa, che le dice di essere una donna priva di valore perché non sa cucinare e non ha figli e lega questa vocina interiore a un senso di colpa indotto dalla società verso la donna che non procrea e non è l'esempio della moglie e casalinga perfetta.
Forse questo discorso poteva valere negli anni '50, perché oggi la realtà è un'altra e ben più scandalosa dei lustrini e delle paillettes dei Maneskin.
Parto da un assunto: la vocina a cui si riferisce la Francini altro non è che quel senso di inadeguatezza della donna che non ha avuto o non ha ancora figli, ma non ha niente a che fare con un senso di colpa indotto. La maggior parte di noi donne, semplicemente, desidera diventare madre, ma non può diventarlo solamente volendolo. La vocina interiore non proviene dalla società, dal patriarcato, dai parenti, ma dalla profonda paura di non poter dare vita a un bambino.

La soluzione non è prendersela con immaginari nemici esterni che ti inducono a pensare di valere come donna solo se si diventa madre, soprattutto perché oggi non è vero.
Oggi, se hai bisogno di lavorare perché non fatturi come la Ferragni e hai figli, sei guardata con diffidenza e non solo se li hai già, ma pure se li desideri. La madre non può prendersi cura "solo" dei figli e della casa, ma deve voler lavorare per dimostrare di essere emancipata, realizzata, moderna.
Sapete qual è la frase più scandalosa che una donna possa pronunciare oggi?
Signori, non ho la minima voglia di abbrutirmi e spaccarmi la schiena per guadagnare una miseria al mese, l'unica cosa che voglio fare è la moglie e la madre. Se avete a cuore il benessere mio e dei miei figli, non datemi asili in cui buttarli mentre io penso a farvi guadagnare, ma datemi la possibilità di stare a casa con loro, magari datemi un part-time ben pagato o, ancora meglio, gonfiate il portafoglio del mio uomo.

Non voglio essere un robot multitasking, non voglio dimostrare niente, voglio solo vivere questa grandiosa esperienza che non si esaurisce col parto, ma che continua nella cura di quella piccola creatura che, davvero, è l'unica priorità della mia vita. Lasciatemi libera di essere sposa e mamma, la carriera non mi interessa, le serate promiscue non mi interessano, voglio solo l'amore che ho cercato dacché sono nata: quello della mia nuova famiglia.


Come si risolve questo conflitto? Innanzitutto riconoscendolo, guardandolo per ciò che è. Nel momento in cui ho preso contatto con la mia paura di non diventare madre, l'ho presa con me, integrata e, per qualche misterioso processo, è divenuta speranza. Io so che potrei non divenirlo, per motivi indipendenti dalla mia volontà, ma mi affido alla sapienza divina, perché sono profondamente convinta che Dio ci dia sempre ciò di cui abbiamo bisogno e ciò che possiamo sopportare, indipendentemente dalle nostre paure e dai nostri desideri.
Non è negando qualcosa o tacciandola di essere un condizionamento indotto che risolveremo il conflitto e il turbamento che quella cosa suscita in noi. È dentro che dovete guardare, perché la maternità bussa da dentro, così come molti altri conflitti rintuzzati dagli alfieri del "progresso", che progresso non è.
Perciò, cara Chiara, non avere paura di quella vocina, non esorcizzarla, non soffocarla. Se la guardi bene, vedrai la tua paura e, se l'accoglierai, troverai la vera pace di chi sta bene con se stesso.

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Mina Vagante
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