C'è una famosa storia sul post-mortem di Buddha. Si dice che Buddha, in procinto di ascendere al Nirvana, vi abbia rinunciato, dando questa motivazione: "Finché non si sarà risvegliato anche l'ultimo filo d'erba, io non entrerò nel Nirvana".

Questa scelta è significativa, oltre che molto nobile. Buddha, infatti, tramite questa intuizione, ha insegnato la Compassione.
La compassione buddhista, questa attenzione all'altro, ricorre in molte altre immagini della cultura buddhista.
Prendiamo ad esempio i dieci tori zen: in origine erano otto e il percorso del viandante si concludeva nell'esperienza del vuoto, in cui svanisce la dimensione della dualità.
Poi, però, altri due tori vengono aggiunti agli otto originari. Nel nono, riappare colui che ha superato la dimensione duale, ma non si isola sulla torre d'Avorio della realizzazione del Sé. Perché? Perché, se il percorso non conduce alla compassione, si fa sterile e percorrerlo non avrebbe avuto alcun senso. Il decimo toro ha due immagini, che sono una lo specchio dell'altra. Vediamo, infatti, il viandante ormai familiare e la figura del Buddha, del realizzato. Possiamo leggere questa immagine in due modi, stando fedeli al componimento che accompagna l'immagine: "Chiunque incontro è realizzato". L'immagine del realizzato allude al nuovo stato del viandante o rappresenta la chiara visione dello stesso, la realtà per ciò che è, ossia Tutto che è Uno? Qui sta la straordinarietà del decimo toro e di un percorso spirituale autentico.

Chi conosce non può trattenere la conoscenza per sé, perché essa sgorga malgrado la sua volontà e, poiché non è egoica, non può essere dominata dall'ego stesso. Il maestro è un loto o una rosa e non può fare a meno di emanare a tutti, ma proprio tutti, il suo profumo, la conoscenza che si fa esempio in lui.
Se avrete la grazia di inebriarvi del suo aroma, anche voi vorrete compiere la via del seme: quella di sbocciare.

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Mina Vagante
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