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Caligorante

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Accadeva centoundici anni fa. 4 febbraio 1913. Sobillato dai britannici, Thubten Gyatso, tredicesimo Dalai Lama, dichiara l'indipendenza del Tibet e scaccia i funzionari cinesi dalla capitale Lhasa. Alcuni mesi prima, nel dicembre 1911, le forze teocratico-feudali dell'etnia maggioritaria khalkha avevano proclamato l'indipendenza della Mongolia, passando sotto la tutela russa. Alla fine del 1912 Tibet e Mongolia firmarono un trattato in cui entrambi riconoscevano la reciproca indipendenza. Oberata da debiti, la giovane repubblica cinese venne mutilata a nord e a sud, rischiando di cadere a pezzi. Quando anche i principi della Mongolia Interna cercarono l’indipendenza, il generale-dittatore Yuan Shikai li represse duramente; e un giovane comandante di nome Chiang Kai-shek si dichiarò a favore di una politica basata su «sangue e acciaio» nel trattare le rivolte ai confini cinesi: un presagio di ciò che la Repubblica cinese avrebbe vissuto fino alla metà del secolo. Il Tibet era stato annesso alla Cina nel XVIII secolo; pur mantenendo una parvenza di indipendenza, aveva di fatto concesso alla Cina la gestione dei propri affari interni. Il Tibet era rimasto un Paese misterioso e chiuso agli occidentali fino al 1903, quando una spedizione militare britannica guidata dal maggiore Francis Younghusband, in seguito diventato un mistico, irruppe nel Tibet dall'India facendo strage dei difensori che facevano più affidamento su incantamenti e amuleti che sulle armi. Gli inglesi arrivarono fino a Lhasa causando la fuga del Dalai Lama; spettò a una sparuta e spaurita rappresentanza tibetana trattare la pace. L'operazione militare britannica creò un pretesto per la formazione di uno stato tibetano indipendente da Pechino, un eufemismo per sancire la sua riduzione a protettorato di Londra. Il Tibet si sarebbe dovuto aprire al commercio con l’India britannica e avrebbe dovuto pagare una indennità di guerra di mezzo milione di sterline. Oltre a quello gli inglesi si riservarono di mantenere una guarnigione nella valle di Chumbi e imposero ai tibetani la distruzione di tutte le fortificazioni. Anche la politica estera del Tibet, da quel momento in poi, sarebbe stata decisa da Londra. Le disposizioni violavano la sovranità cinese sopra il Tibet. L'imperatrice Cixi ottenne che i britannici rivedessero il trattato con il Tibet nel 1906, ammettendo, con una formula volutamente ambigua, che esso era sottoposto alla sovranità di Pechino. Approfittando dell’esilio del Dalai Lama, che si trovava nella Città Proibita ma che sarebbe tornato presto a Lhasa, i Qing inviarono nuove truppe nel tentativo di limitare il presunto “autogoverno” dei tibetani. Nel 1914 il governo inglese diede una veste giuridica al colpo di mano ed all'integrazione della classe dirigente tibetana negli interessi britannici convocando a Simla una conferenza nella quale i delegati abusivamente invitati accettarono una linea – la Linea MacMahon nella regione indiana dell'Assam – confinaria che cedeva circa 100 mila km di territorio all'India britannica. Le autorità cinesi rifiutarono l'accordo in quanto non riconoscevano ai tibetani la facoltà di esercitare atti di sovranità e di contrarre impegni internazionali. A questo episodio risale la contestazione cinese del dominio indiano sulla North East Frontier Agency a nord di Assam, dominio che peraltro il governo della Repubblica popolare si è dichiarato disposto a riconoscere, purché Nuova Delhi accetti di intavolare trattative e cessi di occupare zone Himalayane mai rivendicati a suo tempo dalle autorità britanniche. Originally posted in:
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THE WHALE - SULL'AMORE VERREMO GIUDICATI

Charlie è un docente universitario che, nella vita, ha perso tutto: un grande amore, l'affetto di sua figlia, la possibilità di una vita normale.
Il suo corpo è enorme e, all'apparenza, sembra riflettere il peso del fallimento delle sue scelte.

Questo film mi ha portato a meditare il tema della sofferenza.
Il corpo di Charlie si fa centro gravitazionale, attorno a cui ruotano le sofferenze delle persone che entrano a contatto con lui e che, attraverso lui, si scoprono delle loro più grandi fragilità. "Scrivete qualcosa di sincero", sembra dire a tutti.

Il suo corpo parla, "scrive" per lui.
Per tutto il tempo del film, una visione romantica ci spinge a pensare che Charlie voglia soffrire perché ha perduto l'amore della sua vita, Alan.
Incessantemente, Charlie invoca l'amore perduto attraverso le parole di un tema su Moby Dick.
Ma non è Alan che invoca, bensì sua figlia Ellie.

A pensarci bene, alla fine del film, le vite di Charlie e Alan anelavano a un amore che andava oltre il loro sentimento reciproco, perché il tormento interiore, intimo e personale, non si poteva risolvere all'interno della coppia.
Di Alan si sa tanto quanto si può intuire dalle parole di sua sorella, ma la morte di Charlie apre le porte alla sua redenzione, perché coincide con un atto di grande compassione: il perdono da parte di sua figlia.

Più che mai, questo film fa risuonare in me una frase: sull'amore verremo giudicati.


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La colpa è stata addossata ad un 71enne di sinistra che ha compiuto l'atto criminale, ma sicuramente dietro ci sono gli americani, dato che il Primo Ministro è molto amico di Putin.

Il provvedimento del Governo in materia di lavoro ai giovani mi trova molto discorde.
Si incentivano le imprese ad assumere solo giovani del Sud, creando di pari passo disoccupazione dei giovani al Nord. Soprattutto è un provvedimento incostituzionale, dato che crea differenze e disparità tra cittadini.
Semmai dovevano incentivare le assunzioni imponendo pari percentuali di occupazione in tutto il territorio nazionale, isole comprese.
Quando la classe politica è ignorante e incapace, e non mi riferisco solo a quella di Governo, ma a tutto l'arco parlamentare accade questo orrore.
Occorrono nuovi politici, preparati e soprattutto che amino l'Italia e siano disposti a sacrificarsi per essa.
“Quello che sta avvenendo a Gaza è come se noi, per catturare Matteo Messina Denaro, avessimo raso al suolo la provincia di Trapani, anzi è peggio, perché mentre lui non si è mai mosso dalla provincia di Trapani, i capi di Hamas di certo non sono a Gaza.
Eppure, per comprendere la complessità del conflitto senza ridurla a sterili tifoserie, studiare la storia è un elemento essenziale: “È ovvio che se ci fermiamo all’istantanea degli ultimi sei mesi, con il massacro e i crimini di guerra di Netanyahu e del suo esercito ai danni della popolazione di Gaza, tutte le ragioni del mondo sembrano essere solo da una parte, ma le cose sono più complesse di come sembrano.
È difficile immaginare quali possano essere le vie d’uscita da questo conflitto fino a quando non emergeranno figure che sappiano ‘andare oltre se stessi’ come avvenuto in Sudafrica quando si mossero i primi passi per smantellare l’apartheid.
È ovvio che ci siano proteste se pensiamo che a Gaza si contano 35 mila morti in sei mesi, su due milioni e mezzo di abitanti, quasi tutti civili e bambini. Per fare un paragone basti pensare che in due anni e due mesi in Ucraina ci sono state 10.000 vittime civili su 40 milioni di abitanti, eppure a Netanyahu nessuno osa dire nulla e nei confronti di Israele non è scattata ancora nessuna delle sanzioni che hanno colpito i russi a poche ore dall’aggressione.
Quindi la rabbia è perfettamente comprensibile, rimarca il direttore del Fatto, “però oltre alla rabbia bisognerebbe studiare la storia, per capire come siamo arrivati fin qui è come se ne può uscire”.
cit. Marco Travaglio

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  • I radical chic di destra, riescono ad essere più urticanti dei loro omologhi di sinistra.
  • Dilettanti allo sbaraglio I promotori di liste e listarelle "antisistema" stanno letteralmente sclerando. Da diverse ore volano improperi e...
  • Il critico televisivo di Repubblica deve aver esagerato con le droghe pesanti.
  • Quanto sono belli.😘 Il centrodestra riparta da Ucraina, Taiwan, Moldavia ecc.
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