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Caligorante

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Accadeva duecentocinquanta anni fa. 16 dicembre 1773. E' il giorno del Boston Tea Party, un atto di protesta di un gruppo di coloni nordamericani contro la politica fiscale della madrepatria. I coloni, travestiti da indiani Mohawk (primo false flag della storia americana?), assaltarono le navi e buttarono in acqua 342 ceste di tè per un valore di 90.000 sterline. Gli inglesi reagirono aggressivamente all'iniziativa e la bollarono come un atto di sedizione contro la corona. Antefatto. Nella seconda metà del Settecento la situazione economica della madrepatria inglese era problematica: uscita stremata, sia pur vittoriosa, dalla Guerra dei sette anni (1756-63) e ai suoi governanti parve necessario mungere le tredici colonie americane attraverso dazi doganali e tasse. Il nuovo corso ebbe inizio nel 1765 con lo Stamp Act, una legge che prevedeva un diritto di bollo su giornali, manifesti, documenti legali, e che rappresentava la prima forma di tassazione diretta da parte di Londra sulle colonie. Essa provocò vivaci reazioni, inclusa la creazione di organizzazioni segrete note come “Figli della libertà” e la convocazione di un Congresso dei rappresentanti delle colonie a New York. In un documento di lagnanza di questo Congresso si osservò, su ispirazione dell’avvocato Patrick Henry, come un ferreo principio costituzionale britannico fosse quello in base al quale le tasse potevano essere decise solo dal popolo mediante i propri rappresentanti eletti; le colonie però trovavano rappresentanza nelle assemblee locali, e non nel Parlamento di Westminster. Fu lanciato, a questo proposito, lo slogan No Taxation without Representation (“Nessuna tassa senza rappresentanza”), che riecheggiò ovunque, fino all’abrogazione della legge. Due anni dopo però Londra rincarò la dose con nuovi dazi voluti dal cancelliere dello scacchiere Charles Townshend. A causa di queste leggi il primo ottobre 1768 si verificò il noto massacro di Boston: due reggimenti di soldati britannici lì distaccati per ristabilire l’ordine, dopo essere stati provocati dalla folla, fecero fuoco uccidendo cinque dimostranti. Nel 1773, l’approvazione di una legge sul tè (Tea Act) che agevolava la Compagnia delle Indie a danno dei commercianti americani, innescò il summenzionato Tea party. Il parlamento inglese reagì nella primavera del 1774, approvando le Coercive Laws – o Intolerable Acts, come le soprannominarono i coloni –, in virtù delle quali il porto di Boston fu chiuso a qualsiasi tipo di commercio fino al risarcimento del danno inflitto; furono proibite le riunioni cittadine; fu modificato il voto per i membri dell’assemblea del Massachusetts. Il parlamento, a detta dei coloni, aveva limitato le loro libertà fondamentali di sudditi inglesi. Dopo gli Intolerable Acts ci fu il Quebec Act, approvato il 20 maggio 1774, che estendeva i confini del Québec per includere il territorio a ovest dei monti Allegheny. In uno sforzo di accattivarsi i francofoni canadesi cattolici, il parlamento inglese aveva involontariamente ingenerato paura tra i coloni protestanti circa un “complotto papista”. Più problematico, comunque, era il fatto che annullava le rivendicazioni territoriali di New York, Pennsylvania, Virginia, Massachusetts e Connecticut. In questa fase, nell’agosto 1774, il futuro presidente degli USA Thomas Jefferson pubblicò un pamphlet intitolato A Summary View of the Rights of British America, nel quale difendeva l'atto dimostrativo dei bostoniani come il gesto di “gente disperata” che lottava per proteggere i loro diritti fondamentali. Le argomentazioni erano così potenti e ben esposte che Jefferson divenne il principale portavoce delle istanze dei coloni. Il governatore del Massachusetts Hutchinson venne sostituito dal generale Thomas Gage, accompagnato da un esercito di 4000 soldati, con la promessa di mettere fine alla resistenza dei coloni alla legge britannica. “Il dado è tratto,” disse re Giorgio a Lord North. “I coloni devono trionfare o sottomettersi.” Non si sarebbero sottomessi. I delegati di tutte le colonie, eccetto la Georgia, si riunirono per accordarsi sulle richieste e per studiare dei piani affinché l’Inghilterra riconoscesse i loro diritti fondamentali. Questo primo congresso continentale si riunì alla Carpenter’s Hall di Philadelphia il 5 settembre 1774 e tra i partecipanti vide anche attivisti radicali come Sam e John Adams del Massachusetts e Patrick Henry e Richard Henry Lee della Virginia, mentre i moderati guidati da Joseph Galloway della Pennsylvania preferivano una linea di condotta più conciliante. Proposero una variazione dell’Albany Plan of Union, ma il congresso la rigettò. Adottò invece una dichiarazione scritta da Adams, la quale affermava il diritto dei coloni a “vita, libertà e proprietà”, e condannava i recenti atti parlamentari come “incostituzionali, pericolosi e distruttivi”. Ancora una volta, utilizzarono la parola “congresso”, affermando una volta in più la loro esistenza come stati separati, singoli e sovrani. I delegati richiesero immediatamente di ritirare gli Intolerable Acts e tutte le tasse imposte dal parlamento. Inoltre, concordarono un’azione economica collettiva che comprendeva la cessazione dell’importazione di beni inglesi, a partire dal 1° dicembre 1774, e dell’esportazione di beni americani dal 1° settembre 1775. Questa Continental Association doveva essere fatta valere attraverso comitati locali in ciascuna colonia. Si accordarono per riunirsi nuovamente il maggio successivo, ma gli eventi evolsero ben presto in modo tale da lanciarli in una guerra totale con le autorità coloniali. Il 18 aprile 1775, il generale Gage in Massachusetts mandò 1000 soldati a requisire forniture sospette di armi e munizioni a Concord, ma andarono incontro a una gigantesca imboscata che costò centinaia di morti all'esercito di Sua Maestà. Anche gli esponenti britannici dell’opposizione parlamentare, i cosiddetti “whigs”, criticarono aspramente il proprio governo. Nelle loro file militava uno dei maggiori scrittori politici europei dell’epoca, Edmund Burke; in un discorso del 1774 egli sostenne che, dopo avere istituito le colonie sul principio del monopolio commerciale – grazie al quale entrambe le parti avevano goduto di una straordinaria prosperità – e non su quello tributario, volere ora coniugare un monopolio universale a una tassazione universale significava “dare vita a un’unione contro natura, anzi a una servitù assoluta e senza contrappesi”. Originally posted in:
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THE WHALE - SULL'AMORE VERREMO GIUDICATI

Charlie è un docente universitario che, nella vita, ha perso tutto: un grande amore, l'affetto di sua figlia, la possibilità di una vita normale.
Il suo corpo è enorme e, all'apparenza, sembra riflettere il peso del fallimento delle sue scelte.

Questo film mi ha portato a meditare il tema della sofferenza.
Il corpo di Charlie si fa centro gravitazionale, attorno a cui ruotano le sofferenze delle persone che entrano a contatto con lui e che, attraverso lui, si scoprono delle loro più grandi fragilità. "Scrivete qualcosa di sincero", sembra dire a tutti.

Il suo corpo parla, "scrive" per lui.
Per tutto il tempo del film, una visione romantica ci spinge a pensare che Charlie voglia soffrire perché ha perduto l'amore della sua vita, Alan.
Incessantemente, Charlie invoca l'amore perduto attraverso le parole di un tema su Moby Dick.
Ma non è Alan che invoca, bensì sua figlia Ellie.

A pensarci bene, alla fine del film, le vite di Charlie e Alan anelavano a un amore che andava oltre il loro sentimento reciproco, perché il tormento interiore, intimo e personale, non si poteva risolvere all'interno della coppia.
Di Alan si sa tanto quanto si può intuire dalle parole di sua sorella, ma la morte di Charlie apre le porte alla sua redenzione, perché coincide con un atto di grande compassione: il perdono da parte di sua figlia.

Più che mai, questo film fa risuonare in me una frase: sull'amore verremo giudicati.


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La colpa è stata addossata ad un 71enne di sinistra che ha compiuto l'atto criminale, ma sicuramente dietro ci sono gli americani, dato che il Primo Ministro è molto amico di Putin.

Il provvedimento del Governo in materia di lavoro ai giovani mi trova molto discorde.
Si incentivano le imprese ad assumere solo giovani del Sud, creando di pari passo disoccupazione dei giovani al Nord. Soprattutto è un provvedimento incostituzionale, dato che crea differenze e disparità tra cittadini.
Semmai dovevano incentivare le assunzioni imponendo pari percentuali di occupazione in tutto il territorio nazionale, isole comprese.
Quando la classe politica è ignorante e incapace, e non mi riferisco solo a quella di Governo, ma a tutto l'arco parlamentare accade questo orrore.
Occorrono nuovi politici, preparati e soprattutto che amino l'Italia e siano disposti a sacrificarsi per essa.
“Quello che sta avvenendo a Gaza è come se noi, per catturare Matteo Messina Denaro, avessimo raso al suolo la provincia di Trapani, anzi è peggio, perché mentre lui non si è mai mosso dalla provincia di Trapani, i capi di Hamas di certo non sono a Gaza.
Eppure, per comprendere la complessità del conflitto senza ridurla a sterili tifoserie, studiare la storia è un elemento essenziale: “È ovvio che se ci fermiamo all’istantanea degli ultimi sei mesi, con il massacro e i crimini di guerra di Netanyahu e del suo esercito ai danni della popolazione di Gaza, tutte le ragioni del mondo sembrano essere solo da una parte, ma le cose sono più complesse di come sembrano.
È difficile immaginare quali possano essere le vie d’uscita da questo conflitto fino a quando non emergeranno figure che sappiano ‘andare oltre se stessi’ come avvenuto in Sudafrica quando si mossero i primi passi per smantellare l’apartheid.
È ovvio che ci siano proteste se pensiamo che a Gaza si contano 35 mila morti in sei mesi, su due milioni e mezzo di abitanti, quasi tutti civili e bambini. Per fare un paragone basti pensare che in due anni e due mesi in Ucraina ci sono state 10.000 vittime civili su 40 milioni di abitanti, eppure a Netanyahu nessuno osa dire nulla e nei confronti di Israele non è scattata ancora nessuna delle sanzioni che hanno colpito i russi a poche ore dall’aggressione.
Quindi la rabbia è perfettamente comprensibile, rimarca il direttore del Fatto, “però oltre alla rabbia bisognerebbe studiare la storia, per capire come siamo arrivati fin qui è come se ne può uscire”.
cit. Marco Travaglio

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  • I radical chic di destra, riescono ad essere più urticanti dei loro omologhi di sinistra.
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