"Vedesti", disse, "quell'antica strega
che sola sovr'a noi ormai si piagne;
vedesti come l'uom da lei si slega.
Bastiti, e batti a
terra le calcagne;
li occhi rivolgi al logoro che gira
lo rege etterno con le ruote magne".
Purgatorio,
canto XIX, vv. 58-63
Siamo alla fine del girone degli accidiosi e
Dante fa un sogno: una femmina "balba (balbuziente)", cieca, storpia a mani e piedi e dal colorito smorto. Ma l'essere umano non la vede nel suo reale aspetto, bensì attraverso il filtro del suo richiamo seduttivo. Questa femmina, infatti, è un'allegoria dell'incontinenza verso i piaceri terreni, in particolare l'avarizia, la lussuria e la gola, puniti nei gironi successivi. È quindi, questo, un sogno che anticipa quello che
Dante dovrà incontrare nel suo viaggio.
Al suo risveglio, Virgilio nota che la sua
mente è ancora occupata dal
ricordo del sogno e lo incita a passare oltre attraverso i versi che ho scelto di riportare.
Virgilio è sbrigativo e lo esorta a non
perdere tempo a rimuginare sul peccato, ma di andare avanti e guardare alle cose celesti.
Troppo spesso, di fronte alle miserie che ci abitano, ci crogioliamo nel nostro non essere degni di accostarci ai santi, troppo spesso ci giudichiamo "troppo peccatori" e questo giudizio implacabile si pone come un ostacolo al cammino verso
Dio.
Ma, una volta preso atto di non essere immacolati e perfetti secondo la nostra idea di perfezione, dobbiamo avere il coraggio di presentarci a
Dio così come siamo: pieni di difetti, manchevoli, fallibili.
I nostri
genitori non ci amano forse nonostante i nostri errori? E come potrebbe
Dio non farlo, se sinceramente ci volgiamo a Lui con tutto il carico di
vergogna, ma anche di devozione, che portiamo addosso?
Ma a Lui dobbiamo guardare, non a noi stessi, perché dalle tenebre si esce grazie alla luce, e la luce che possiamo trovare in noi non è altro che luce divina.