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Caligorante

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Accadeva centosette anni fa. 30 dicembre 1916. Il ventinovenne Carlo d'Asburgo viene incoronato re d’Ungheria con il nome di Carlo IV, imperatore d'Austria con il nome di Carlo I. Con lui, la ventiquattrenne neo-imperatrice Zita di Borbone-Parma. L'incoronazione celebrata in terra magiara fu l’ultima solenne cerimonia della casata degli Asburgo, in stridente contrasto con la reale condizione dell’impero, sempre meno coeso, travolto dagli eventi bellici, dalla povertà dilagante e dalle spinte indipendentiste. Erano trascorsi quarantanove anni da quando Francesco Giuseppe e Sissi erano stati incoronati, ma in mezzo secolo il mondo era radicalmente cambiato; già l’euforia di qualche decennio prima, della Belle Époque, sembrava un lontano ricordo. Carlo indossava l’uniforme di feldmaresciallo ungherese, dal colore rosso e con gli inserti in oro; Zita un abito chiaro con ricami di broccato in oro e il velo era anch’esso in pizzo d’oro. L’entusiasmo celò solo per breve tempo il deterioramento dei rapporti tra le varie componenti etniche del mosaico asburgico. Gli slavi non approvarono il rafforzamento della posizione ungherese, e l'idillio tra Austria e Ungheria era più apparente che reale. Carlo e soprattutto Zita, di animo pio e caritatevole, pensarono che l’unica via di uscita fosse trattare segretamente la pace dopo il disastro causato dall'offensiva russa dell'estate 1916. Carlo capiva che la pace, oltre a giovare ai popoli, era l'unica chance di sopravvivenza per la monarchia. Alla morte di Francesco Giuseppe, Carlo giurò solennemente: «Farò tutto ciò che è in mio potere per bandire gli orrori e i sacrifici della guerra prima possibile, per ribadire al mio popolo la benedizione della pace amaramente mancata». Ma la sua voce, come quella di papa Benedetto XV, rimase inascoltata. Il 2 luglio 1917 Carlo concesse un’amnistia generale che rendeva nulle le condanne emesse dai tribunali militari, adducendo che: «Se tutti esercitassero semplicemente i loro doveri cristiani, non avremmo tanto odio e tanta miseria nel mondo.» La fine si stava avvicinando, mano a mano che il conflitto si snodava in un groviglio di trame diplomatiche e scontri dall’esito drammatico. Zita prese la decisione più grave: scrivere al fratello Sisto, pregandolo di prendere contatti con il governo francese, con l'intento di trattare la pace separatamente dall’alleata Germania (il capo di stato maggiore tedesco dal 1914 al 1916, Erich von Falkenhayn, aveva liquidato l’Impero austro-ungarico definendolo una «carcassa» e, parafrasando il filosofo stoico Epitteto, gli ufficiali tedeschi dicevano spesso che erano “incatenati a un cadavere”). In seguito dichiarò di aver fatto rispettare le ultime volontà del suocero Francesco Giuseppe. Zita, quindi, si dimostrò da subito parte attiva e fondamentale nella vita politica, come mai nessuna sovrana consorte aveva fatto. Il 24 marzo 1917 Carlo scrisse una lunga lettera al cognato Sisto, dove nessun cenno è fatto al Kaiser Guglielmo. L’epistola si conclude con la formale offerta di pace a Francia e Inghilterra. I piani ambiziosi dei nuovi regnanti fallirono per un cambio al vertice del governo francese, dove Alexandre Ribot, successore di Aristide Briand, non diede credito allo sforzo del giovane imperatore. Zita, in età avanzata, considerò questo avvicendamento come «la vera causa del fallimento dell’intera missione». Nonostante le trattative segrete, il 3 aprile 1917 Carlo e Zita si recarono in Germania, a Homburg, nel tentativo di convincere l’alleato tedesco a trattare la pace. Carlo non ottenne nessuna apertura, in quanto il Kaiser sperava ancora di spuntarla sul campo di battaglia. Nel mese di maggio la coppia imperiale commise l’errore più grave, perché Carlo, d’accordo con Zita, scrisse la seconda lettera al cognato, che scatenò il cosiddetto “Affare Sisto”. L’imperatore d’Austria non fece nessun cenno all'alleato, si soffermò sulla questione italiana e citò il ministro Czernin. Quest’ultimo però, interpellato in proposito, negò di aver ricevuto una copia della lettera, al contrario di quanto sostenuto da Zita. L’epistola, datata 9 maggio 1917, ha il seguente, esplicito contenuto: Mio caro Sisto Constato con piacere che Francia e Inghilterra condividono le mie idee, ch’io considero basi essenziali della pace europea. Esse però m’oppongono la loro volontà di non arrivare alla pace separatamente dell’Italia. Proprio l’Italia ha offerto pace alla Monarchia, rinunciando alle inaccettabili richieste da essa avanzate finora nei territori slavi dell’Adriatico. Essa limita le sue richieste al Tirolo italiano. Mi riserbo di prendere in esame queste richieste, quando avrò avuto la risposta dalla Francia e dall’Inghilterra alla mia offerta di pace. Ti ringrazio per la tua collaborazione a quest’opera di pace da me intrapresa nel comune interesse di tutti i nostri Paesi. Come mi dicesti al momento del congedo, questa guerra t’ha imposto il dovere di tener fede al tuo nome e al grande passato della tua casa, prima occupandoti dell’opera del soccorso agli Eroi feriti sul campo, poi combattendo per la Francia. Ho compreso la tua condotta, e se gli avvenimenti – dei quali non sono in alcun modo responsabile – ci hanno diviso, il mio affetto ti rimane sempre fedele. Ci tengo, se tu lo desideri, a conservarmi la possibilità di far conoscere la mia opinione personale a Francia e Inghilterra con la sola tua mediazione. La complessa situazione era ormai sfuggita di mano, ma la posizione di Carlo divenne critica quando, esattamente un anno dopo, Georges Clemenceau, capo del governo francese, rese pubbliche le due lettere. Fu il colpo fatale, non solo per Carlo, ma per la monarchia asburgica. A nulla valse il tentativo di difesa di Carlo nei confronti del Kaiser Guglielmo II, datato 15 aprile 1918: Le accuse di Clemenceau contro di me sono così meschine che non ho alcuna intenzione di discuterne con la Francia. La nostra prossima risposta sono i miei cannoni a ovest. Con sincera amicizia, Carlo. Il 9 maggio 1918, giorno del ventiseiesimo compleanno di Zita, i sovrani rinunciarono a recarsi nella Chiesa di Santo Stefano, per timore di reazioni violente nei loro confronti. Il 19 maggio si recarono a Costantinopoli per una visita di Stato, il 15 giugno le truppe austro-ungariche attaccarono gli italiani, ma fallirono. L’esercito era ridotto a uno scheletro poliglotta per mancanza di divise, di munizioni e di razioni. In quei mesi tutto era precipitato e la famiglia imperiale era seriamente in pericolo, come dichiarato dal capo della polizia. Il 9 novembre il Kaiser Guglielmo II abdicò e lasciò definitivamente la Germania. L’11 novembre, in un’atmosfera tetra e surreale, nel Castello di Schönbrunn, Carlo firmò le dimissioni dall’attività di governo davanti al presidente del consiglio Lammasch e al ministro dell’interno Gayer. Finiva la secolare epopea reale asburgica. Originally posted in:
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THE WHALE - SULL'AMORE VERREMO GIUDICATI

Charlie è un docente universitario che, nella vita, ha perso tutto: un grande amore, l'affetto di sua figlia, la possibilità di una vita normale.
Il suo corpo è enorme e, all'apparenza, sembra riflettere il peso del fallimento delle sue scelte.

Questo film mi ha portato a meditare il tema della sofferenza.
Il corpo di Charlie si fa centro gravitazionale, attorno a cui ruotano le sofferenze delle persone che entrano a contatto con lui e che, attraverso lui, si scoprono delle loro più grandi fragilità. "Scrivete qualcosa di sincero", sembra dire a tutti.

Il suo corpo parla, "scrive" per lui.
Per tutto il tempo del film, una visione romantica ci spinge a pensare che Charlie voglia soffrire perché ha perduto l'amore della sua vita, Alan.
Incessantemente, Charlie invoca l'amore perduto attraverso le parole di un tema su Moby Dick.
Ma non è Alan che invoca, bensì sua figlia Ellie.

A pensarci bene, alla fine del film, le vite di Charlie e Alan anelavano a un amore che andava oltre il loro sentimento reciproco, perché il tormento interiore, intimo e personale, non si poteva risolvere all'interno della coppia.
Di Alan si sa tanto quanto si può intuire dalle parole di sua sorella, ma la morte di Charlie apre le porte alla sua redenzione, perché coincide con un atto di grande compassione: il perdono da parte di sua figlia.

Più che mai, questo film fa risuonare in me una frase: sull'amore verremo giudicati.


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La colpa è stata addossata ad un 71enne di sinistra che ha compiuto l'atto criminale, ma sicuramente dietro ci sono gli americani, dato che il Primo Ministro è molto amico di Putin.

Il provvedimento del Governo in materia di lavoro ai giovani mi trova molto discorde.
Si incentivano le imprese ad assumere solo giovani del Sud, creando di pari passo disoccupazione dei giovani al Nord. Soprattutto è un provvedimento incostituzionale, dato che crea differenze e disparità tra cittadini.
Semmai dovevano incentivare le assunzioni imponendo pari percentuali di occupazione in tutto il territorio nazionale, isole comprese.
Quando la classe politica è ignorante e incapace, e non mi riferisco solo a quella di Governo, ma a tutto l'arco parlamentare accade questo orrore.
Occorrono nuovi politici, preparati e soprattutto che amino l'Italia e siano disposti a sacrificarsi per essa.
“Quello che sta avvenendo a Gaza è come se noi, per catturare Matteo Messina Denaro, avessimo raso al suolo la provincia di Trapani, anzi è peggio, perché mentre lui non si è mai mosso dalla provincia di Trapani, i capi di Hamas di certo non sono a Gaza.
Eppure, per comprendere la complessità del conflitto senza ridurla a sterili tifoserie, studiare la storia è un elemento essenziale: “È ovvio che se ci fermiamo all’istantanea degli ultimi sei mesi, con il massacro e i crimini di guerra di Netanyahu e del suo esercito ai danni della popolazione di Gaza, tutte le ragioni del mondo sembrano essere solo da una parte, ma le cose sono più complesse di come sembrano.
È difficile immaginare quali possano essere le vie d’uscita da questo conflitto fino a quando non emergeranno figure che sappiano ‘andare oltre se stessi’ come avvenuto in Sudafrica quando si mossero i primi passi per smantellare l’apartheid.
È ovvio che ci siano proteste se pensiamo che a Gaza si contano 35 mila morti in sei mesi, su due milioni e mezzo di abitanti, quasi tutti civili e bambini. Per fare un paragone basti pensare che in due anni e due mesi in Ucraina ci sono state 10.000 vittime civili su 40 milioni di abitanti, eppure a Netanyahu nessuno osa dire nulla e nei confronti di Israele non è scattata ancora nessuna delle sanzioni che hanno colpito i russi a poche ore dall’aggressione.
Quindi la rabbia è perfettamente comprensibile, rimarca il direttore del Fatto, “però oltre alla rabbia bisognerebbe studiare la storia, per capire come siamo arrivati fin qui è come se ne può uscire”.
cit. Marco Travaglio

Gruppi di Patrioti

  • Serenità apollinea (altro che quel ragnetto debosciato di Damiano dei Maneskin), impegno civile, coraggio. Siamo tutti Enrico Mantoan.
  • A breve partirà l'ennesima ondata di post veicolanti la turbo-retorica fallaciana, tipo Guesdah [questa] era la Persia sotto lo Shah. 1970...
  • https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/05/19/iran-atterraggio-demergenza-per-lelicottero-con-il-presidente-raisi_30921fc4-68cc-4d35-a65d-859ec...
  • I radical chic di destra, riescono ad essere più urticanti dei loro omologhi di sinistra.
  • Dilettanti allo sbaraglio I promotori di liste e listarelle "antisistema" stanno letteralmente sclerando. Da diverse ore volano improperi e...
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