(Estratto daL volume "La Paura fa Totò", a cura di Giuseppe Cozzolino e Domenico Livigni, Cento Autori)


Quella dell’automa e del “manichino vivente” è un leit motiv ricorrente della letteratura fantastica e nera, oltre che nella storia del cinema di genere.

E.T.A. Hoffmann inserisce il tema in uno dei suoi racconti più apprezzati (“L’Uomo di Sabbia” del 1815) e Edgar Allan Poe vi dedica un saggio (“Il Giocatore di Scacchi di Maelzel”) nel 1836. La letteraturaweird’ riprende il tema infinite volte con interessanti varianti, come nel caso di Robert Bloch, il celebre autore di “Psycho”, e del suo racconto “The Weird Tailor” (1950), adattato anche al cinema nell’antologico
La morte dietro al cancello (1970) di Roy Ward Baker. Senza contare pellicole come Il manichino assassino (1973) di George Fenady o Magic (1978) di Richard Attemborough, fino ai più recenti film del ciclo de La Bambola Assassina (Chils’s Play) dal 1988 al 2019.

Dalla paura alla risata il passo può essere breve, specie se ad incarnare questo archetipo oscuro interviene l’artista-marionetta per eccellenza, consacratosi in questo ruolo prima a teatro poi sul grande schermo, grazie alla celebre scena del Pinocchio in Totò a Colori.

Lo sketch de “Il Manichino” è fra i più celebri ed amati del Principe della Risata e fu presentato per la prima volta nel 1938 nella rivista "Se fossi un Dongiovanni". Con aggiunte e varianti fu poi ripreso in altre riviste, come "C'era una volta il mondo" di Galdieri, e portato sullo schermo prima all'interno del film antologico I pompieri di Viggiù (1948), con Isa Barzizza e Mario Castellani e successivamente ne Il più comico spettacolo del mondo (1953) con la Faldini e Castellani, infine per la terza volta in Tv all’interno della Serie Tutto Totò: Don Giovannino con Antonella Lualdi e Franco Volpi.

Totò vi interpreta lo spasimante di una donna sposata, il cui marito è proprietario di un laboratorio di stoffe e confezioni, costretto a fingersi uno dei manichini del negozio dall’improvviso ritorno di lui, amareggiato e disperato per l’imminente bancarotta della sua attività. L’elemento thriller della rappresentazione emerge nel desiderio di morte del marito che, prima di suicidarsi, punta la pistola sul “manichino Totò” per fare una ‘prova’, quello soprannaturale dall’ossessione dello stesso uomo nello spiritismo, convinto di poter rievocare il fantasma del padre. Ossessione che salva Totò da morte certa, in quanto riesce a spacciarsi per lo spirito del padre incarnatosi nel fantoccio.

Lo sketch, basato sull’assenza di dialogo e sulla straordinaria mimica del protagonista, viene rielaborato, nella versione del 1948 (la migliore), con una serie battute ad hoc da parte del Totò-fantasma che sfrutta la situazione facendosi regalare pezze di stoffa e abbracciando la protagonista femminile, sotto lo sguardo compiaciuto del marito. Piacevolissima e pervasa di autentica suspense è la sequenza col volto di Totò in primo piano, e la pistola del marito esasperato puntata alla tempia.

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Giuseppe Cozzolino
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