Si racconta la storia di due cani che, in momenti diversi, entrarono nella stessa stanza. Uno ne uscì scodinzolando, l'altro ringhiando.
Una donna li vide e, incuriosita, entrò nella stanza per scoprire cosa rendesse uno felice e l'altro così infuriato. Con grande sorpresa scoprì che la stanza era piena di specchi: il cane felice aveva trovato cento cani felici che lo guardavano, mentre il cane arrabbiato aveva visto solo cani arrabbiati che gli abbaiavano contro.
Quello che vediamo nel mondo intorno a noi è un riflesso di ciò che siamo.
Tutto ciò che siamo è un riflesso di quello che abbiamo pensato. La mente è tutto.
Quello che pensiamo, diventiamo.



Questa storiella è esplicativa dell'atteggiamento della mente di fronte al mondo.
Onde evitare fraintendimenti, specifico che le parole di Buddha non hanno niente a che fare col pensiero positivo, secondo cui basta pensare positivo, appunto, per attrarre positività.

Posto che l'essere umano che non abbia mai seguito una disciplina spirituale non sia padrone della propria mente, cioè non sia consapevole del suo funzionamento e non l'abbia armonizzata tramite la meditazione, il fine di un autentico cammino spirituale non è quello di rendere la vita individuale un posto al sole perpetuo, in cui non vi sia spazio per ciò che è ritenuto negativo: il dolore, la vecchiaia, la malattia, la morte.

Buddha non ha rinnegato la sofferenza, non l'ha bandita dall'esistenza. La prima nobile verità dice che la vita è sofferenza.
Ma, ci dice Buddha, la sofferenza può essere trascesa tramite la meditazione, l'esperienza della sofferenza può essere vissuta in un processo di integrazione della stessa, che concorrerà al cammino verso il Risveglio.

Fatte queste dovute precisazioni, che cosa sono le proiezioni?
Tutti gli esseri umani provano invidia, rabbia, frustrazione, odio, gelosia, sia nel rapporto con se stessi che in quello col prossimo. A noi tutti piace pensare che uno o più di questi impulsi o sentimenti non ci appartenga e cosa facciamo per non vedere che, invece, fanno parte di noi? Li scarichiamo sugli altri.

Prendiamo l'invidia, che è forse tra le passioni più insidiose, perché spesso l'invidioso non si rende conto di ciò che prova finché non si confronta con un'altra persona. Capita, per esempio in un ambiente di lavoro, che un collega ottenga una promozione o una semplice gratificazione al posto nostro.

Quando in noi scatta l'invidia, possiamo ammantarla con discorsi sulla meritocrazia, sulla giustizia, sul sacrificio personale. Non che questi aspetti siano secondari o disprezzabili, ma raramente chi fa le barricate per questioni ideologiche non sfrutterebbe un'amicizia o una parentela o una condizione personalmente favorevole per avanzare di carriera.
L'invidioso si racconterà di tutto pur di non ammettere di esserlo, arrivando a screditare la preparazione o il talento di chi è stato favorito.

E questo atteggiamento si estende a ogni aspetto della nostra vita. Perfino in ambito spirituale, se vissuto in comunità, possono nascere proiezioni negative sui propri compagni di viaggio o addirittura verso lo stesso maestro spirituale. Se non vengono portate a galla tramite l'introspezione e una sincera volontà di mettersi in discussione, alimentata dalla fiducia verso il maestro e la comunità stessa, queste proiezioni si ingigantiranno sempre di più, fino a gonfiare l'Ombra, che si manifesterà inevitabilmente in atteggiamenti di chiusura, sospetto, diffidenza, falsità.

Le proiezioni ci impediscono di vedere la realtà per ciò che è e ci arroccano in una visione personale ed egoica della stessa.
Esistono anche le proiezioni positive, per cui le cose e le persone sono viste attraverso il filtro dell'idealizzazione. Questo è tipico, ad esempio, nelle sette, nelle relazioni amorose disfunzionali o, più semplicemente, nella fase di innamoramento.

Anche le proiezioni positive possono essere perniciose, ma la loro pericolosità è in relazione all'oggetto idealizzato.
All'interno di una comunità spirituale, l'allievo riversa un'enorme quantità di proiezioni positive sul maestro, ma questo non è totalmente negativo, in quanto è funzionale, soprattutto all'inizio, per creare un sentimento di fiducia verso il maestro. Ma sarà poi il maestro stesso a spingere gli allievi non a guardare e concentrare l'attenzione su di lui, ma dirigerla alla propria interiorità. Un vero maestro ci spingerà sempre verso noi stessi, non all'idolatria della sua persona.

Poiché la proiezione porta ciò che abbiamo dentro fuori di noi, non permette alla persona di assumersi le sue responsabilità. Spesso, quando pensiamo di doverci assumere le nostre responsabilità in merito a qualcosa che abbiamo detto o fatto, identifichiamo la responsabilità con la colpa e questo ci fa soffrire, perché nessuno vuole ritenersi colpevole o fallibile.

Ma, in realtà, c'è molta libertà nella responsabilità. Quando io mi assumo la responsabilità di aver sbagliato, della mia vita, di portare avanti una gravidanza, di crescere un figlio, di far partire un progetto, di iniziare un percorso di studi, sto affermando la mia azione nel mondo e mi sto dando la possibilità di crescere e di maturare. Se mi assumo la responsabilità del mio destino, se dico il mio "Sì" al disegno di Dio per me, mi sto liberando dalle catene del senso di colpa, del rimpianto, del rimorso, dell'influenza che ho concesso agli altri di avere su di me.

È quando delego che sto rinunciando alla verità che mi abita, che sto chiudendo gli occhi di fronte al messaggio di Dio per me, che sto rifiutando di guardare il mio volto nello specchio dell'anima.

Ecco perché bisogna essere coscienti del meccanismo proiettivo: per non rinunciare mai a guardare nella profondità di noi stessi, così da portare alla luce la nostra vera natura.

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Mina Vagante
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