Ora che le sue ceneri riposano e che il chiacchiericcio si placa rapidamente (o almeno si spera), mentre il diluvio di storie e resoconti si esaurisce per passare ad altro, si può tentare di fare il punto su quegli aspetti che, sommersi dalla necessità di esprimere qualcosa, qualsiasi cosa, nell'urgenza del momento, sono stati ignorati o trattati con meno attenzione di quella che meritavano.

La figura di Berlusconi è ormai entrata nella Storia d'Italia, il suo posto è assicurato accanto a quelli di Moro, Andreotti, Craxi, e sulla sua epoca si scriverà coi toni pacati dello studio accademico, tralasciando quei retroscena scandalistici che hanno attratto l'attenzione della stampa igienica ma che risulteranno, alla lunga, politicamente e storicamente insignificanti. Alla fine, Luigi XIV non viene giudicato per le numerose amanti, né Nerone per le orge, anche se un certo pubblico dai gusti facili li ricorderà più per quello che per le realizzazioni civili o le conquiste territoriali.

Si è detto altrove per quali e quanti meriti si possa giustamente lodare Silvio Berlusconi. Di sicuro come imprenditore (lascia un patrimonio da 6 miliardi di euro, senza contare quello che sfugge alle rendicontazioni ufficiali) e presidente del Milan (29 coppe, signori miei, con una squadra rilevata dopo un quasi fallimento e la discesa in B...), mentre come politico il discorso si fa spinoso, o per lo meno complesso. Per non parlare del modo in cui ha cambiato il fare televisione, e, tramite questa, l'influsso sulla società. Un giorno queste questioni saranno eviscerate sine ira et studio, senza le demonizzazioni e l'isteria con cui la stampa, sia a favore che contro, le ha abbordate. Per ora vorrei puntualizzare alcune cose.

La sua affiliazione alla massoneria, in specie la Loggia P2 (tessera 1816), non può non gettare forti ombre sull'operato dell'uomo, e non solo perché, personalmente, giudico molto male il fenomeno massonico. Una società segreta con le mani in pasta in ogni evento oscuro e sanguinoso della storia d'Italia (e non solo), fortemente sospettata (a dir poco) di implicazioni nello stragismo dagli anni '60 ai '90, non è un qualcosa con cui si può venire a patti restando immacolati. Il fatto che ben poco si sappia, di sicuro, del ruolo di Berlusconi nella Massoneria e di quello, reciproco, della Massoneria nelle attività di Berlusconi, non consente di soppesare la portata di questa contaminazione, che però, da parte di una personalità così poco ideologica come lui, mi fa pensare ad una mossa per premunirsi e introdursi nei salotti buoni della finanza lombarda e nazionale. Tuttavia, altri fatti consentono di tirare qualche somma. A partire dal '94, ossia dall'inizio della sua attività politica, e praticamente sin quasi sul letto di morte Berlusconi è stato perseguito e perseguitato con un accanimento singolare da parte della Magistratura italiana, che è, manco a dirlo, uno dei corpi dello Stato più infiltrati, storicamente, dalla Massoneria al punto da potersi considerare una delle sue estensioni. Decine di procedimenti, centinaia di udienze, migliaia di giornate, fiumi di testi e carte processuali senza una fine apparente, susseguentisi e accavallantisi nonostante l'inconcludenza (solo una sentenza di condanna, e solo per un reato risibile come l'evasione fiscale) e persino la futilità (tre processi per decidere se avesse o meno toccato le chiappe di Ruby Rubacuori, e ci sono magistrati che hanno preso lo stipendio per aver seguito la vicenda), hanno avuto la funzione evidente di rallentare od ostruirne l'azione politica quando non di ricattarlo in maniera pura e semplice. Questo può far pensare che, se pure Berlusconi, fra gli anni '70 e gli '80 fosse affiliato alla Massoneria, in questo rapporto qualcosa dev'essere andato molto storto perché si scatenasse una guerra aperta così implacabile.

Ho già accennato alla sua politica estera. Il fatto che se la intendesse a meraviglia con quelle personalità non inclini a farsi manovrare dalle burocrazie europee o dalla mafia finanziaria anglosassone, come Putin, Lukashenko, Erdogan, Gheddafi, spiega molta dell'insofferenza, quando non aperta ostilità, con cui venne trattato dalle èlite occidentali. Ma una volta presa una strada bisogna avere il coraggio di seguirla sino in fondo. E se Berlusconi ha avuto una colpa, è stata quella di peccare di coraggio in questa fase. Non so di quali minacce fosse cosciente durante il suo ultimo anno di governo, il 2011, ma, citando Churchill, "Non avrei mai osato tanto. E però, osando, non avrei mai osato tornare indietro". Quello che Berlusconi aveva osato era soprattutto il trattato di mutua assistenza con la Libia di Muhammar Gheddafi, trattato solennemente ratificato e da cui l'Italia traeva indubbi vantaggi, che ci garantiva le forniture energetiche di cui avevamo e avremo sempre bisogno, bloccando in modo efficace l'afflusso di immigrati africani, una piaga che col tempo che passa diviene sempre più evidente, al costo di qualche investimento in infrastrutture che sarebbero servite anche a noi e che risultava anche in un notevole ritorno di immagine (alla faccia delle ex-potenze coloniali che dopo l'indipendenza non hanno costruito nemmeno un'altalena per bambini). Quel risultato andava difeso con le unghie e con i denti, a maggior ragione da un Paese come l'Italia che cercava di recuperare una politica estera indipendente e un ruolo nel Mediterraneo. Invece sappiamo come andò: travolta anche la Libia da quel vasto programma di sovvertimento chiamato simpaticamente “Primavera Araba” e fomentata una guerra civile in loco, vedendo che i cosiddetti “ribelli”, ossia dei tagliagole tribali finanziati dall'estero, da soli non ce la facevano e le prendevano pure, USA, Gran Bretagna e Francia, da cui abbiamo preso le peggiori fregature dall'unità in poi, intervennero direttamente nell'ennesima guerra “umanitaria” per impedire che le ostilità finissero troppo presto, e a favore del governo legittimo. Già così era un insulto e una provocazione agli interessi italiani, ma quello a cui si piegò il governo Berlusconi fu il peggio del peggio: partecipammo ad un'aggressione armata contro ad un paese alleato che non ci minacciava, il cui capo di Stato avevamo ospitato poco tempo prima con tutti gli onori e assicurazioni di amicizia. La figura che Berlusconi fece fare a tutto il Paese fu irrecuperabile: in un attimo, eravamo tornati, agli occhi del mondo, la “puttana d'Europa”, come descritti da von Bülow, i voltagabbana vigliacchi e traditori del 1915 e del 1943, sempre pronti a saltare sul carro del vincitore dando una coraggiosa coltellata alla schiena al vicino che cadeva. Oltre demolire quello che lui stesso aveva costruito in anni di politica estera, ci aveva ripiombati anche ad un'immagine infima e squallida come popolo. Una catastrofe, anzi due, che nessuno più avrebbe potuto rimediare (e nessuno neppure ci provò).

Il terzo punto riguarda la sua creatura politica. Da vero dominatore, Berlusconi non ammise mai attorno a sé nulla più che comprimari, e creò, più che un partito-azienda, un partito personale legato per la vita e per la morte alle proprie fortune. Avrebbe potuto lasciare in eredità una forza parlamentare radicata nel territorio capace di portare avanti un qualche programma politico nazionale, di difesa degli interessi italiani e baluardo alle prevaricazioni dei padrini, e padroni, d'oltralpe e d'oltre Oceano. Lascia invece una congrega di scadenti comprimari, squallidi tirapiedi e vuoti opportunisti incapaci, da soli, financo di allacciarsi le scarpe (politicamente parlando), e destinati, già alla prossima tornata elettorale, a disperdersi ai quattro venti e al miglior offerente. A meno che non spunti fuori un personaggio con la verve, e i quattrini, del fondatore, capace di tenerlo insieme e infondere nuova vita in un qualcosa che già puzza di cadavere, a partire dallo zero assoluto che si ritrova alla presidenza, esempio plateale di yes-man vissuto acconsentendo a chiunque pur di ricevere una poltrona e uno stipendio. Ma l'unica capace del miracolo pare la figlia Marina, che non sembra intenzionata a infognarsi in politica. Anche qui, Silvio ha avuto il demerito di lasciare ben poco.

Sui rapporti con la Mafia si è scritto tanto, e si è dimostrato pochissimo. Rimanderei a quanto detto sulla Massoneria: un uomo d'affari con le mani in pasta come lui avrà presumibilmente messo le mani avanti per proteggersi forse anche con personaggi poco limpidi legati a qualche cosca siciliana, come Mangano. Ma per come andarono le cose, e vista la saldatura sempre più evidente fra Mafia e Massoneria, non sembra verosimile che Berlusconi sia entrato in collisione con l'una e abbia continuato a collaborare con l'altra. A chi avesse ancora dubbi farei poi notare la strana presenza del cosiddetto presidente della Repubblica al suo funerale: uno che nella vita ha fatto il fratello di una vittima di Mafia, neppure per onorare ad obblighi istituzionali sarebbe dovuto andare al funerale di un mafioso, e a quei livelli, poi. Altrimenti ci verrebbe da pensare che con la memoria del fratello Piersanti il presiniente ci si pulisca i piedi. Oppure che Berlusconi non lo considerava un mafioso. (Piccolo inciso: dopo l'assassinio di Piersanti Mattarella, l'Espresso parlò per una settimana di “regolamento di conti fra cosche rivali”. Poi cambiò versione, chissà perché)

Il tanto vituperato conflitto di interessi, infine. Ci hanno rimpinzato per decenni con il pericolo che un imprenditore facentesi capo di governo si sarebbe trovato a scegliere fra gli interessi propri e quelli nazionali. Scegliendo i primi. Nei fatti, essendo le aziende di Berlusconi legate all'andamento dell'economia e ai consumi nazionali, il proprietario era giocoforza costretto, nel proprio interesse, a dover incoraggiare una crescita dei consumi e della ricchezza generale. Opponendosi quindi alle politiche finanziarie e fiscali semplicemente suicide che, da ormai trent'anni, sono il programma fisso dell'Unione Europea (e interesse diretto degli Stati Uniti che debbono ripagarsi delle spese della Guerra Fredda drenando ricchezza dagli “alleati”). Cosa che spiega l'astio, tracimante nell'odio puro, che le gerarchie burocratiche europee e le classi dirigenti dei paesi più ligi a Bruxelles hanno scatenato contro la persona dell'allora premier. A conti fatti, abbiamo rischiato di più con al governo galoppini e marionette senza alcun interesse materiale nelle aziende nazionali, le cui fonti di reddito erano e sono le mazzette pagate da gruppi economici stranieri, con patrimoni liquidi che possono spostare all'estero (se già non ci sono) con estrema facilità, e che quindi sono indifferenti anche al fatto che noialtri si possa morire di fame perché “ce lo chiede l'Europa”.

Queste, secondo me, le luci e le ombre principali di cui si è assai poco discusso tra le celebrazioni solenni e i travasi di bile. Ed è su queste che si giudicherà la figura storica di un uomo che ha catalizzato attorno a sé tante forze e tanti interessi, rinunciando troppo presto e troppo a buon mercato al ruolo chiave che stava giocando per tutto un Paese. Lo sfottevano per la bassa statura. In realtà, i nani e i burattini sono arrivati dopo.

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