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Tutte le volte che vedo emergere un giudice o un magistrato nel dibattito pubblico, per le sue posizioni e per le sue imprese, affiora il vecchio istintaccio che mi porta a diffidare, sempre e comunque. La cosa scandalizza soltanto chi delle funzioni di queste figure sa poco. I media poi, abilissimi come sono a creare santini e mostri - attraverso fiction che eroicizzano i magistrati, assurti al ruolo di opliti del bene, perennemente impegnati in una sempiterna palingenesi morale, oppure disegnando il malfattore come uno col ghigno che al mattino si sveglia grattandosi la testa e chiedendosi "a chi spariamo oggi?" - certo non contribuiscono a fare chiarezza. Ho stimato moltissimo sia Falcone e Borsellino che gli altri magistrati caduti compiendo la propria "missione" ma, anche oggi che dalla loro morte sono passati oltre trent'anni, non ho mai smesso di considerare il magistrato missionario ed eroe un'anomalia tipica del sistema italiano.
Un magistrato, infatti, non ha il compito di "combattere la mafia" o "il malaffare", ma è niente di più di un burocrate, chiamato ad applicare la legge, quale essa sia. Se la legge dice che i cittadini devono camminare ad una gamba sola, il magistrato è chiamato ad applicarla. Può certamente far sapere che non è d'accordo - specie ad una certa età, saltellare su una gamba è un po' fastidioso - e può persino entrare in politica per far valere le sue ragioni, al netto di tutte le considerazioni sulla palese incompatibilità tra la cultura politica e quella giuridica. Ma mai un magistrato deve, nell'esercizio delle sue funzioni, andare oltre il proprio ruolo di umile e semplice burocrate. Un mio amico e lettore, un importante magistrato, mi dice sempre "Faccio sempre una grande fatica a ricordare ai miei colleghi che noi siamo soltanto magistrati e niente più"

Questo ci porta a Gratteri a cui - leggo oggi - è stata assegnata la procura generale di Napoli. Molti si aspettano fuochi d'artificio, col magistrato che rivolta le piazze di Napoli e il famigerato Parco Verde come un calzino e quant'altro. Ma sono fondamentalmente scemenze.
Nessuno discute il valore del magistrato calabrese, ma nulla di ciò che succede nelle zone malfamate di una metropoli può essere da lui risolto, a meno di forzature delle leggi che, peraltro, non cambierebbero nulla. Delle episodiche "chemioterapie" che, facendo stare malissimo il paziente, addormentano la malattia che però, poi, inevitabilmente riaffiora ("calati juncu ca passa la china", come dicono in Sicilia) questo paese ha fatto scorpacciata fin dai tempi del prefetto Mori, scoprendone infine la sostanziale inutilità. Anche perché se non si affronta la causa prima di un tumore, prima o poi ritorna. Tutto lo scempio che avviene nel Parco Verde, per esempio, ormai consacrato a nuovo scenario di future Gomorre, ha a che fare con una cosa soltanto: la miseria umana ed economica. Se non si elimina la causa prima, manco Chuck Norris può farci nulla.

La cosa che fondamentalmente non si vuol comprendere - o peggio ancora, non si vuol far comprendere - della criminalità organizzata è che essa vive del consenso sociale della gente del posto, ed è endemica di tutti i paesi con uno stato sociale obeso, nei confronti del quale il cittadino ripone aspettative troppo onerose - e inevitabilmente deluse - per poi rivolgersi al capozona che, ovviamente, per il disturbo chiederà fedeltà eterna.
Né certamente si risolverà qualcosa con le solite piazzate che rimandano ai versi del profetico De André, con lo Stato che "si costerna, s'indigna, s'impegna, poi getta la spugna con gran dignità". Naturalmente, facendo finta di averci provato davvero.
E voi pensate di risolvere la cosa con Gratteri? Come dicono a Roma "Maccheddavero?"

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Franco Marino
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