Cominciamo con lo sgomberare il campo da un paio di argomenti calunniosi assai frequenti: l’antisemitismo e la teoria del complotto giudaico. Ammetto di essere contro Israele, almeno nella sua configurazione attuale (in futuro la ditta potrebbe cambiare protettore e registro), ma nego con risoluta franchezza di essere antisemita. Il sionismo, che non coincide con l’ebraismo, ha seguito il destino di quei nazionalismi e internazionalismi esasperati che finiscono col fungere da utile idiota delle grandi potenze, specie degli anglosassoni.
A cosa serve il sionismo? Serve a impedire la pacificazione della Terra Santa.
È stato relativamente semplice: in un contesto difficile a maggioranza musulmana, ma caro alle tre religioni abramitiche, si è deciso di piazzare un’enclave giudaica esosa e turbolenta. Un grosso dito ficcato nel culo dei musulmani, insomma. L’ingrato incarico di Argo dei pozzi petroliferi e di mastino dei Baskerville utile ad azzannare e uccidere i subumani della mezzaluna ha infuso un indiscusso prestigio alla lobby giudaica americana, ma ha fatto inabissare la qualità della vita del popolino che si ritrova ad assoggettare la Palestina, l’antica Canaan poi divenuta “la terra dei Filistei”, antichi antagonisti degli ebrei. Dunque Israele nuoce innanzitutto agli ebrei normali, rende grama l’esistenza dei coloni: chi si sognerebbe di abitare in una zona perennemente in guerra con gli stati limitrofi, dove puoi saltare in aria da un momento all’altro mentre sorseggi il tè verde Wissotzky nel baretto sotto casa? Sfido io che molti di loro preferiscono la diaspora o la dhimmitudine sotto l’ayatollah, lo sceicco e l’emiro. Israele è figlio di Yalta e di Stalin, ovvero di un equilibrio bipolare morto, sepolto e illacrimato, démodé già mezzo secolo fa, figurarsi nel nuovo ordine internazionale che va delineandosi sotto i nostri occhi increduli. Una forma di suprematismo spinto, dicevo, ipocritamente tollerato e incoraggiato dall'Occidente finto inclusivo e finto legalitario che vuol dare l’ostracismo al crocifisso e ci impedisce la sacrosanta difesa dei confini.
Israele ha il diritto di difendersi!” E le altre nazioni? Il popolo eletto – e impunito – allarga e protegge i propri confini bombardando e deportando, nondimeno nessuno si sogna di sanzionarlo o di escluderlo dalle competizioni sportive. Che l’attuale Israele sia la quintessenza del mainstream lo conferma la canea di queste ore: l’informazione, la politica e la gente che piace ci sommergono di retorica nauseabonda. Parafrasando il Peo Colombo di Vacanze in America: “Basta! Faccio gli stronzi a forma di Menorah!”. Il carisma dei palestinesi non è così potente, malgrado la discreta schiera di santi in paradiso e le torme di encomiatori e rockstars, da Cristiano Ronaldo a De Magistris fino ai gombagni che individuano in Gaza il succedaneo del “pueblo unido jamás será vencido”. Sion supera le barriere ideologiche e rapisce i cuori dell’uomo occidentale: del reazionario duro e puro in virtù della statualità etnocratica; del liberalconservatore esangue per il fatto di essere il Fort Apache del parlamentarismo assediato dai fedayin; del progressista arcobaleno nonché dell’ex comunista (i kibbutz!) in cerca di espiazione, ansioso di esternare il proprio fervore da neofita. L’atmosfera di Montecitorio e dintorni è letteralmente pervasa, drogata dal verbo davidico: la stella di David che illumina la facciata di Palazzo Chigi è l’ultima prova di un’ampia casistica. Quando JHWE chiama, il politicante medio, opportunista per vocazione, non capisce più niente, indossa la kippah d’ordinanza e lascia dietro di sé una cospicua scia di bava limacciosa. Per la destra "antisistema" Israele è la vacca sacra, è ciò che l’Ucraina è stata in questo anno e mezzo per la sinistra europoide ufficiale: la coperta di Linus, l’hobby-horse di Tristram Shandy. Il preteso sovranello vede nel machismo di Tel Aviv un feticcio, un simulacro compensativo della virilità perduta o mai avuta, il castigamatti allegorico del terrorismo islamico e dell’invasione di clandestini; fenomeni accresciuti dalla demolizione – voluta e/o appoggiata da Israele – dei regimi arabi laici. Io non metterei la mano sul fuoco sulla buona fede di questo sedicente baluardo del cristianesimo (i cristiani iniziassero a difendersi da soli) che ha siglato una joint venture con l'Azerbaijan islamico ai danni dell'Armenia cristiana. Per tacere delle immagini che giungono dalla Terra Santa, con i "fratelli maggiori", riuniti in capannelli, dediti a sputacchiare sui goym. Posso nulandianamente esclamare Fuck Israel! o no? La verità è che la nostra posizione geografica ci condanna a essere non dico filoarabi, ma perlomeno neutrali e non subalterni ai likudisti de noantri; i quali, invece, ci ingiungono di stare dalla parte di Sion senza alcuna riserva. Una scelta di campo salatissima che scontiamo col proliferare dell'instabilità che genera periodiche crisi umanitarie ed energetiche. Ho accuratamente evitato la diarrea filantropica che tira in mezzo i poveri bambini palestinesi rinchiusi nei ghetti, così come rigetto le motivazioni contraddittorie, inconsistenti e vulnerabili dei tifosi dell’unica democrazia (quale democrazia, poi? Quella che se non ti vaccini ti impedisce di campare) in Medio Oriente e dei patetici cantori dei giardini strappati al deserto. Semplicemente mi limito a eseguire un freddo calcolo strategico: Israele, nel momento in cui monopolizza e sovverte lo spazio vitale di una ipotetica Grande Italia, diventa un nostro concorrente; Israele ci è nemico perché ha trovato conveniente mettersi in combutta con il cartello del vincolo esterno, che ha ridotto ai minimi termini la nostra capacità di penetrazione, già in passato limitata da fragilità politiche e di intelligence. Ho scritto nemico? Sì, una vera nazione deve avere dei nemici. La Svizzera non fa testo: è soltanto un istituto di credito che campa riciclando denaro sporco, è l'eccezione che conferma la regola. E vogliamo dedicare due paroline a quella serpe in seno che sono i principali megafoni e maître à penser del Sistema? Parteggiano quasi tutti per la causa sionista, compresi i compìti divulgatori dalle labbra cadenti e dal ciuffo ribaldo che gestiscono con mano dittatoriale la divulgazione storica e scientifica. Poi c’è la famigerata e schieratissima comunità ebraica romana, un battaglione di sayanim disciplinati e aggressivi quant’altri mai, mediaticamente influenti e politicamente burbanzosi. Il loro motto camorrista, ricalcato su una sciagurata massima agnelliana, è: Ciò che va bene per Israele, va bene per l’Italia. E sappiamo che non è affatto vero. E sappiamo che il Mossad è sospettato di aver compiuto gravissimi misfatti nello Stivale: ieri ne ho elencato qualcuno, e se siete acuti comprenderete per quale motivo la stagione delle stragi si concluse. Capite donde deriva il rispetto sacrale tributato a un sostanziale avversario dai vari La Russa e Calenda e Schlein, che autonomi non lo sono e non vogliono diventarlo? Ma i tory boys dei social che si sdilinquiscono ripensando alla notte di Sigonella lo sanno che il governo di allora rifiutò di consegnare un commando di miliziani palestinesi reo di aver assassinato un ebreo paralitico? Quanti di questi patriottardi sarebbero disposti ad emulare Craxi e Andreotti? In conclusione, gli israeliani sembrano amici e alleati perché noi, torchiati a dovere dai bombaroli, abbiamo smesso di infastidirli, abbiamo liquidato la politica estera spericolata, ma lecita e coraggiosa, che ci portava a rifornire di uranio impoverito e tecnologia nucleare i paesi del Golfo Persico. Forse era una politica estera funzionale al doppiogiochismo yankee, fatto sta che rappresentavamo un freno all'avventurismo dell'asse anglo-franco-israelita, il “partito di Suez”. Se ragionassimo in termini brutalmente realistici ci accorgeremmo finalmente di questo diretto rivale sullo scacchiere mediterraneo e levantino; e così ci accorgeremmo della Turchia, che il democristo Berlusconi si illudeva di addomesticare acquistando i diritti delle soap opera e battezzando la prole di Erdogan. Occorre imparare a riconoscere il nemico. Inutile girarci intorno, il ridimensionamento delle due succitate entità, che ambiscono a controllare i rubinetti del gas e del petrolio, gioverebbe non poco alla vecchia, cara Italia. La loro ascesa è coincisa con la sua decadenza.

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