Il lettore più assiduo di questa pagina avrà notato che ho praticamente smesso di parlare del conflitto in Palestina e la ragione è semplicissima: ho amici tifosi di ambedue le fazioni, persone simpaticissime e gradevolissime che, tuttavia, di fronte all'argomento, perdono completamente il lume della ragione e, come il toro quando vede bandiera rossa, caricano l'interlocutore che a quel punto, compresa l'antifona, con una scusa li liquida. Naturalmente le parti in causa - israeliani, ebrei, palestinesi - hanno tutto il diritto e, direi, il dovere di interessarsene. Ben più frustrante è, invece, interagire con persone che non hanno una goccia di sangue di quei posti e, tuttavia, senza sapere niente di questa vicenda, se non fonti ed informazioni parziali, scelgono di indossare, a seconda della propria indole, la kefiah o la kippah.

Molti meccanismi dell'animo umano sono sbrogliabili soltanto da psichiatri, psicologi, socioantropologi, di certo non da un modesto scriba digitale. E, quindi, il sottoscritto, sia detto con la massima brutalità, se ne fotte. A me interessano cose molto più semplici: pagherò meno tasse? Avrò più servizi? Avrò il condono che aspetto per regolarizzare due fottutissimi soppalchi della mia vecchia casa che ho ereditato dai miei? Dovrò appezzentirmi tra qualche anno spendendo 100.000 euro per i lavori green? Cosa ne sarà del mio futuro? Quando arriverò a sessant'anni, la sanità italiana rimarrà la merda che è oppure per sapere se l'ipertrofia prostatica, che eventualmente dovesse venirmi a quell'età, è benigna o meno, dovrò rivolgermi ad un privato prima che diventi maligna? Avrò una pensione decente, anche di qualche centinaio di euro, o dovrò lavorare fino ai novant'anni? Cose concrete di cui vale la pena interessarmi, perché è il mio futuro. Così come è giusto che quei poveri disgraziati che si sono visti togliere il reddito di cittadinanza, oppure il malato grave di cancro, si interessino del proprio qui ed ora, disinteressandosi delle guerre in giro per il mondo, a maggior ragione in un'area che nessuno riesce a pacificare. Nulla di quel conflitto interessa la persona sana di mente. E il fatto che se ne interessi sempre meno, si vede dal crollo dei lettori di giornali e degli elettori durante le elezioni.
Se le sorti di Israele o della Palestina riguardassero il mondo intero, si può stare certi che le grandi potenze - evidentemente interessate a non avere rogne - avrebbero obbligato le parti in causa a riconoscersi reciprocamente. Se questo non avviene, forse bisognerebbe considerare che alle potenze in questione non interessi risolvere il problema e/o anzi convenga loro far sì che rimanga così. In questo caso, gli sproloqui retorici sanremesi diventerebbero ancor più inutili di quanto già non siano, mentre molto più utile sarebbe capire come agiranno le potenze che tengono bordone ai duellanti.

Questa visione può oggettivamente nauseare ambedue le parti, specie quelle personalmente coinvolte. Ma così come all'israeliano e al palestinese, specie in questo momento, nulla fregherebbe di un'eventuale scomparsa dal panorama mondiale dell'Italia, non si vede perché l'italiano debba interessarsi di quel conflitto. Salvo che non tragga un dividendo in quanto italiano, ovviamente. Se, per esempio, mi si dice che un'eventuale scomparsa di Israele o una definitiva soppressione dei palestinesi sarebbe un problema di natura pratica anche per noi italiani, la cosa già mi interesserebbe di più discuterla. Ma preoccuparmi del fatto che "stia avvenendo un genocidio in Palestina" (sottinteso, "è colpa degli israeliani") così come che Hamas abbia ammazzato 2-20-200-2000-20000-200000 di israeliani (sottinteso, "è colpa dei palestinesi"), non è neanche che sia giusto o sbagliato: è completamente inutile. E invece qualcuno si è risentito ieri - compresi contatti storici - perché ho definito fessi Ghali e Dargen D'Amico perché hanno detto in TV "Stop al genocidio".
Ora perdonatemi. Ma come definire chi crede che una guerra si fermi dicendo "stop alla guerra", evidentemente credendo che a Netanyahu e ad Hamas piaccia massacrarsi reciprocamente? E soprattutto, cosa si aspettano la casalinga di Voghera o l'imbianchino di Casandrino, una volta che hanno messo la bandiera palestinese? Che Netanyahu, guardando l'esibizione di Ghali a Sanremo, dica "Ok, finiamo la guerra e ridiamo tutto ai palestinesi"? Ma soprattutto, anche volendo dare dignità a queste prese di posizione, cosa può fare il governo del nostro paese? Nulla. Perché l'Italia non ha sovranità, né militare né economica. Se avessimo una classe politica tale da accrescere la forza del nostro paese al punto da riuscire, attraverso ritorsioni commerciali, a ridurre una delle tue parti a più miti consigli, potremmo ottenere qualcosa. E' un po' quello che sta provando a fare la Turchia nel conflitto in Donbass. I turchi, che hanno interesse a che si stabilizzi l'area, vengono ascoltati da ambedue le parti perché sono una nazione in grande crescita, di certo non perché un eventuale Ghali, di un eventuale Festival di Instabul, dica "Stop al genocidio in Ucraina".
Ma davvero qualcuno crede di portare un mattoncino alla causa mettendo le bandierine su Facebook?

Purtroppo, il nostro paese è ubriacato di melassa, di buonismo, di convinzioni poggiate sull'acqua. Ci interessiamo di problemi che non possiamo risolvere, per avere la scusa di non risolvere quelli dove potremmo fare qualcosa. Interessarsi dei "migranti" ci permette di ignorare il vicino in difficoltà che potremmo, invece, concretamente aiutare. Interessarsi del genocidio in Palestina ci permette di ignorare il massacro dell'industria italiana e la ripida china verso il totalitarismo che il nostro Paese ha ormai imboccato.
La persona di buonsenso, invece, cerca di cambiare ciò che può, di rendere piacevole il suo piccolo, strano mondo e se decide di entrare in politica, cerca non di salvare l'umanità ma di servire il proprio paese, con la serenità di chi sa che alcune cose, nel suo piccolo, non potrà mai risolverle, perché hanno a che fare con quella cosa così complessa che è l'umanità.


FRANCO MARINO


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Cinico ma vero. Oggi su facebook ho condiviso la storia dei bombardamenti della città di Zara da parte degli "alleati" nel '45 e non furono poi così dissimili da quelli su Gaza e zone limitrofe. Eppure non ci fu uno stracciamento di vesti che fosse uno da parte di nessuno. Ho sentito parlare profughi istriano dalmati e il loro trattamento non fu diverso da quello riservato agli attuali profughi. E' la tragedia umana che si ripete continuamente, con la differenza che adesso vediamo ogni giorno e udiamo ogni giorno l'orrore attraverso gli schermi del computer.
 
Io non sono d'accordo con il tuo ragionamento, secondo me bisogna guardare oltre la punta del proprio naso. Ovvio che il mio parere contro la guerra non cambierà nulla ma, voglio che si sappia, che non sono d'accordo, non in mio nome! Se adesso sto zitta non avrò diritto di protestare o chiedere l'aiuto se e quando toccherà a me di subire (speriamo mai). Non importa se la guerra si svolge vicino o lontano da casa mia, importante è cercare di buttare l'acqua (non benzina!) sul fuoco.
Approvo moltissimo il comportamento di Ghali, vedere la faccia del ambasciatore israeliano mentre ascolta la sua risposta - che soddisfazione!
 

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Franco Marino
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