Tutte le volte che si nomina la parola "populismo" con accezione negativa, si rischia di fare la parte dei radical-chic che con tono impettito vi dicono perché non bisogna votare il demagogo del momento, altrimenti siete analfabeti. Per evitare questo, bisogna chiarire cosa sia davvero il populismo, come è nato, come si è sviluppato e perché sta finendo. E, a tal riguardo, bisogna premettere che il populismo non è necessariamente di una sola fattura. Può avere una connotazione scamiciata oppure incravattata, ma quale che sia, esso consiste sempre e solo nel parlare dei problemi della gente, unicamente considerando il qui ed ora.

Si prenda un problema a caso: quello delle troppe tasse sulla casa. Il populista per fare presa sui proprietari dirà che "bisogna eliminare l'IMU, non bisogna fare la patrimoniale" e via discorrendo, invocando la sacralità della proprietà privata. Il populismo, in questa impostazione, è di dare per scontato il diritto di proprietà come fosse calato dall'alto, senza considerare che per garantire tale diritto sono necessarie una serie di funzionari, da quelli catastali a quelli della forza pubblica. Il servizio "Pronto Polizia, c'è uno stronzo che mentre ero al mare ha occupato casa mia" richiede che ci sia, ovviamente, il centralinista che risponde al telefono, che ci siano le forze dell'ordine che vadano a prendere, se necessario anche rischiando la pelle, l'occupante, che ci siano i registri che attestino l'effettiva titolarità del diritto di proprietà. Tutta gente che, ultimato il proprio orario di lavoro, avendo il brutto vizio di essere umana, ne esercita tutte le funzioni tipiche: mangiare, bere, accoppiarsi, generare figli, cose che non sarebbero possibili senza i soldi dello stipendio che attraverso le tasse gli paghiamo. E tuttavia, senza questi esseri umani mangianti, beventi e copulanti, in qualsiasi momento io malintenzionato posso venire a casa vostra, prendervi a bastonate e cacciarvi di casa. Se siete forti e in salute e bene armati, mi ammazzate e sventate la cosa. Se non lo siete, ammazzo io voi e mi frego casa vostra. Da questo punto di vista, il problema delle tasse sulla casa non è quello di essere una tassa ingiusta, ma semmai di non difendere sempre l'interesse dei proprietari, considerazione che però anche in questo frangente può avere una connotazione populistica: perché se si accumulano troppi poveri, questi se si mettono insieme diventano una bomba sociale che lo Stato potrebbe non riuscire a gestire, rischiando di non poter difendere i proprietari.

In sostanza, il populismo fa questo: analizzati i problemi del cittadino unicamente presso il cittadino (qui) e nel quotidiano (ora), lo illude che per ogni problema esista una soluzione, rapida e a costo zero, il cui momentaneo sollievo è confuso con la risoluzione effettiva del problema. Uno schema che, secondo molti, si applicherebbe soltanto agli scamiciati e dunque al primo Grillo, alla prima Meloni, al Salvini dei tempi migliori, e via successivamente fino ad arrivare ai masanielli digitali degli ultimi anni. E che invece ha anzitutto una connotazione restauratrice, il che fa sì che si vedano più facilmente i populismi scamiciati, ma non quelli incravattati dei vari Monti, Prodi, di Renzi, di Draghi e via discorrendo, quelli per cui l'Italia è nei guai perché al potere ci sono gli incapaci che credono alla terra piatta, che credono alle fake news, che si fanno trascinare dai troll pagati da Putin, che senza l'Euro moriremo tutti, che i novax sono criminali, che il clima si sta irrimediabilmente surriscaldando e via degenerando, senza che nessuno dica loro che l'enorme debito pubblico è stato fatto proprio seguendo le loro teorie, che i loro giornali hanno raccontato balle per decenni quando ancora di Internet non si aveva la più pallida idea di cosa fosse e quando tutti, a partire da Letta, andavano a portare la pantofola a Putin.
Il problema del populismo è che, sia che vesta in tuta e con la barba sfatta, sia che si faccia la barba dal miglior barbiere dei Parioli e si metta in giacca e cravatta, è (purtroppo) inevitabile per prendere il potere ma diventa deleterio quando si deve governare. Perché quando poi si è nella stanza dei bottoni, le cose sono enormemente più complicate di come ce le raccontiamo sui social network. Tanto per cominciare, chi si assume responsabilità governative, non appena mette piede a Palazzo Chigi si ritrova inondato di dossier che frantumano almeno il 90% delle cose che credeva di sapere. E poi se anche solo osasse tentare una lettura alternativa della realtà, si ritroverebbe immediatamente una marea di poteri pronti col fucile spianato a ricordargli che se prende la tal decisione, arriva il tal potere che può nell'ordine delle cose tanto creargli una speculazione finanziaria che faccia fallire il paese, tanto ritrovarsi una rivolta all'interno del partito frattanto infiltrato da qualche spia, tanto venire blandito da poteri che gli dicono "Graziosi i tuoi figlioli, li vedo ogni giorno andare alla tal scuola", circostanza che naturalmente porta una persona avveduta a piegarsi.

Dal momento che questo ormai è uno schema fisso, questo non significa che certi problemi non vadano risolti, anzi. Semplicemente stiamo andando incontro ad una sempre più radicale contrapposizione antropologica che vede, da una parte, la nascita di un'élite politica trasversale - che finge di dividersi sulle scemenze ma che è d'accordo su tutto il resto - e un'opposizione che, mano mano che le cose peggioreranno e che i vari tribuni della plebe dimostreranno la propria (a voler essere buoni) inconsistenza o la propria (a voler essere cattivi) connivenza, cercherà chi sia disposto a cambiare le cose, se necessario, anche con l'uso della forza.
Da questo punto di vista, oggi il problema del populismo non è quello di avere torto sull'effettiva esistenza dei problemi, ma di non aver compreso che non si può andare avanti a lungo imitando lo schema delle tifoserie e che arriva un momento in cui si arriva ad un bivio: chi è convinto che l'Italia deve essere distrutta, deve far fuori chiunque cerchi di salvarla. Chi invece è convinto che l'Italia deve essere salvata, deve far fuori chiunque cerchi di distruggerla.
Chi invece continua a fare il tribuno della plebe digitale su Telegram, su Facebook, ormai è superato.
E' senza dubbio vero che i social stanno riducendo verticalmente la visibilità di chi come noi si muove nell'area del dissenso. Ma è anche vero che c'è, ormai, nella gente, una forte stanchezza verso il meccanismo del dissenso digitale. Ora la gente vuole le azioni concrete. Altrimenti, finirà per coricarsi col nemico, fingendo di non accorgersi di una ciotola che diviene sempre più piccola.

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Definisci "la gente" che vorrebbe azioni concrete. In Italia ci sono 14 milioni di persone sopra i 65 anni che, sicuramente non faranno le barricate ma neanche i 50-60 enni le costruiranno. Sui giovani 20-30enni ...beh la "battaglia delle tendopoli universitarie" mi pare sia già finita. Rimane la fascia 30-50enni. Lì ci sei tu che ci puoi dire che aria tira.
 

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Franco Marino
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