La Festa del Primo Maggio non è nulla che meriti di essere commentato. Di lavoro non si parla praticamente più e, il più delle volte, è l'occasione per veder sfilare gentaglia che, presa dai centri sociali, viene dipinta come la tendenza del momento. Ho partecipato, molti anni fa, trascinato quasi con la forza da una mia ex, ad una festa del Primo Maggio a Roma e tutto ciò che ricordo è un gran frastuono di musica inascoltabile, immerso in un costante tanfo di mariagiovanna. Tanto che i giorni successivi fui costretto per purificarmi a farmi una full immersion di musica classica e non so manco più io quante docce. Ma questi sono solo ricordi personali. Perché nella realtà bisognerebbe spiegare, una buona volta, come sia possibile che i temi del lavoro vengano considerati appannaggio della sinistra mentre la realtà fattuale è che la sinistra di oggi è nemica dei lavoratori.

La prima cosa da dire è che il lavoro non si difende costringendo il datore di lavoro a sposare il proprio dipendente, ma facendo in modo di aumentare i datori di lavoro. Se oggi c'è tanta gente che lavora a nero, prostituendo diritti e salari, è perché di datori di lavoro ce ne sono pochi. Non si tratta di creare empatia con gli imprenditori con l'animo degli sfruttatori ma di fare un principio banale: lo sfruttatore non fa altro che approfittarsi di un sistema che gli permette di fare ciò che fa. La soluzione di creare uno Stato di Polizia che costringa l'imprenditore a pagare salari minimi o di non licenziare i nullafacenti, è esattamente quella che ha provocato il problema della disoccupazione contro cui si dedicano intere trasmissioni, dibatti, tavole rotonde da quarant'anni, senza nel concreto risolvere nulla. Il principio fondamentale è questo: la mancanza di lavoro non è un problema sociale ma economico. Il problema sociale è la conseguenza. Il dato di fondo è che se non c'è gente che intraprende, non si creano posti di lavoro e se non si creano posti di lavoro non si creano alti redditi. Le conseguenze sociali sono, per l'appunto, conseguenze.
La ricetta liberale è semplice: bisogna lasciare ai cittadini la libertà di creare aziende basate su un'offerta che incontri una domanda reale. Se c'è domanda - dico per dire - di mimose e non di gramigna e di erba parietaria, la ricetta statalista è creare artificialmente una domanda di gramigna e di erba parietaria finanziando a debito le aziende che li producono. Il risultato sarà che quello stato, non avendo il mordente di evitare il fallimento, non si predisporrà per fare in modo che l'offerta incontri la domanda. E questo altererà tutto il mercato. La ricetta liberale è lasciare che i produttori di mimose creino la propria impresa senza doversi assumere obblighi sociali e il risultato sarà che la prosperità conseguente stimolerà altri produttori di mimose a creare l'impresa, col risultato che ci sarà tanta domanda di lavoro che permetterà ai lavoratori di tirarsela e di concedere il proprio lavoro solo a condizioni soddisfacenti, cosa che alzerà i redditi e creerà un circolo virtuoso che potenzierà il mercato e la crescita. La ricetta statalistica si basa sul contrario: creare artificialmente utilità che nessuno usa, per avere la scusa di assumere nuove persone. Ma per fare questo, occorrono soldi che non ci sono. L'Italia non stampa la propria moneta e, anche se la stampasse, non potrebbe certo farlo all'infinito perché dovrebbe comunque attingere ai beni e ai servizi prodotti dai cittadini, proprio quelli che lo Stato carica di tasse e di lacci.

Il Primo Maggio è una festa stupida perché pone l'accento sull'importanza del lavoratore, dimenticando che se non c'è chi prende l'iniziativa di intraprendere perché scoraggiato dall'onda anomala di tasse e di burocrazia che gli si abbatterebbe addosso, il povero cristo di lavoratore può solo scegliere se rimanere disoccupato o farsi assumere da un datore di lavoro che, agganciato con la politica, gode di protezioni legali che gli permetteranno di sfruttarlo, consapevole che se quel disoccupato rifiuterà l'incarico, ce ne sono altri mille pronti a subentrargli pur di avere quei 200-300 euro al mese fondamentali per sopravvivere.
La politica parla di salari minimi, di evasione fiscale, senza minimamente porsi il dubbio che forse, per avere più ricchezza, bisognerebbe fare ponti d'oro a quelli che la ricchezza la producono. Poi certo, c'è chi sostiene che il tutto si risolverebbe sequestrando il plusvalore dell'impresa ed espropriando le case e i mezzi di produzione ai "padroni". C'è stata un'esperienza di questo genere, si chiamava socialismo reale. Ed è fallito perché quando viene meno il mordente per darsi da fare a produrre, quando viene meno la convenienza di ingegnarsi per vivere, la gente non ha più la spinta di produrre la ricchezza da redistribuire, a meno di non trasformarsi in un incubo totalitario. Del resto, perché io dovrei attivarmi per lavorare se tanto c'è uno Stato che ci pensa per me?

Il precedente di questa convinzione infantile e sbagliata c'è già stato, si chiamava URSS e se usiamo l'imperfetto del verbo "chiamare", è perché non a caso è crollata. Altri paesi come la Cina si stanno progressivamente riconvertendo ad un più razionale sistema misto mercantile e per tutti quegli altri pochi paesi a socialismo reale è solo questione di tempo prima che capiscano che un conto è impedire che un paese finisca nelle mani dei gangster della finanza, altro conto è pretendere di trasformare la società in lemming al servizio del partito, creando a tavolino gusti che non ci sono, invogliando i cittadini a comprare automobili che non vogliono. Si può portare il cavallo all'abbeveratoio ma non si può obbligarlo a bere. E se il Primo Maggio ancora festeggiamo la festa dei lavoratori, come se a lavorare fossero solo loro e non chi il lavoro glielo dà, vuol dire che siamo ben lontani dalla comprensione di questi pochi principi di elementarissimo buonsenso. Se i lavoratori oggi come oggi non trovano posti se non a nero e con paghe misere, hanno poco da prendersela con i datori di lavoro. Devono invece prendersela con la sinistra.
E' la sinistra, oggi, la principale nemica dei lavoratori.

Comments

Mi dovrei sentire in colpa per questa situazione, ho collaborato con 6 aziende per spostare la produzione in Turchia, Cekia e Slovacchia e per tante altre ho progettato la massima meccanizzazione per limitare il numero di addetti....Cause??? Le hai elencate tu, manca forse l'esasperata sindacalizzazione ma forse l'hai definita "stato di polizia"
 
No Franco, spostare la produzione di una fabbrica costa l'iradiddio. Poi costa per i viaggi tuoi e dei tuoi addetti necessari al controllo, spese per hotel o appartamenti, o a andare a vivere in loco. Se non sei una multinazionale potente, alla fine, se non hai fatto bene i conti, il risparmio che hai sul costo del lavoro inferiore non compensa le spese di gestione. Per questo é un sacrilegio non supportare le nostre aziende.
 

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Franco Marino
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