L'ultimo mio post sulle elezioni americane mi ha sottoposto ad alcune inevitabili (e comunque benvenute) critiche. Una di queste è che i miei post troppo spesso trasudino una totale mancanza di speranza, fino al punto che un mio contatto mi ha scritto che il mio pessimismo sterilizza ogni azione. Tra i contatti, anche il mio ex direttore del giornale nel quale prima scrivevo, il quale mi ha sottoposto alcune obiezioni, che si riassumono nella benevola accusa di condurre i miei ragionamenti ad un punto morto. La convinzione che per ogni problema vi sia una soluzione, è molto comune: il proliferare di slogan hashtaggati, a partire dall'immancabile "Andrà tutto bene", slogan proveniente dal mondo americano e schiaffato nella narrazione pandemica, o anche di "ci abbracceremo più forte", "ne usciremo migliori", "stai sereno" e via hashtaggando - che più che rassicurazioni, sembrano il dolce invito del boia che ci dice di stare calmi che in fondo quella ghigliottina non è così affilata - denunciano il presupposto che ad ogni problema vi sia una soluzione. Quanto questo sia falso, lo sa chiunque vive la tragica esperienza di un congiunto che sta per morire per una brutta malattia. Quando il medico ci dice che ad un nostro caro "non restano che pochi mesi di vita" o "non c'è nulla da fare", avvertiamo subito oltre alla ovvia tristezza, un'enorme sensazione di impotenza. Eppure sarebbe sciocco prendere a calci quel medico, che in realtà non ci sta dicendo che non esista in assoluto una cura, ma che la medicina al momento non l'ha trovata e che lui non vede speranza di trovarla in quei mesi che separano il paziente alla sua fine imminente.
Ma una situazione persino peggiore di quella del disgraziato senza speranza è quella del malato che potrebbe salvarsi ma la cui cura è terribile, prevede amputazioni, mutilazioni, la perdita di una o di più funzionalità del proprio corpo. E allora si trova nella scelta di porre fine ad una vita inutile oppure sopravvivere e provare a salvare il salvabile, pur sapendo che ne uscirà male. E' una situazione peggiore perché obbliga chi vi si trova, a dover fare una scelta tra due mali, il male di morire e il male di vivere una vita da infermi.

La cura per la guarigione dell'Occidente ci sarebbe. Ma non è una cura indolore, anzi sarebbe una cura traumatica perché prevede la perdita di molti degli aspetti che hanno caratterizzato la sua sopravvivenza, proprio come avviene per una chemio o un'amputazione. E tuttavia, l'occidentale medio vive nella convinzione che possa salvarsi ancora con l'aspirina o la tachipirina. E' consapevole di essere con un piede nella fossa, dato che della lunga morte dell'Occidente hanno scritto autori di grandissimo peso e tanti anni fa, quando ancora certi problemi non erano incancreniti. Ma non vuole accettare che questa cura sarà tremenda, che forse non basterà, pur essendo comunque una speranza.
E questo non è strano, soprattutto se del male ancora non si sono avuti sintomi concreti. Immaginate di avere cinquant’anni, di stare benissimo, e di sentirvi dire da un paio di medici che siete gravemente malati. Perché dovreste affrontare una chemioterapia? Per la semplice ragione che l'alternativa è la morte.
Così sempre il mio ex-direttore è convinto che l'uscita da questi gravi mali possa essere democratica, senza rendersi conto che fin quando non si è davvero identificato non solo la tipologia del male ma anche come esso si struttura, non si potrà trovare una cura. Ed è questo l'altro aspetto della malattia occidentale: l'ignoranza di sé e della propria storia.

L'Occidente non si è mai reso conto di essere nato da un accidente. Che la propria visione libertaria del mondo - a cui curiosamente pretende, con buona pace del libertarismo, che il mondo intero si sottometta - non è figlia di un'operazione a tavolino, pacifica, bensì di una combinazione tra un'esplosione demografica che impedisce alle élite di imporsi sui popoli e le sanguinose guerre tra le classi dirigenti per appropriarsi di risorse in esaurimento e che dunque anche la libertà e la democrazia vadano talvolta innaffiate col sangue di qualche tiranno e di qualche nemico. Non si rende minimamente conto che il proprio benessere non è figlio di un reale merito, ma della contingenza originata dal piano Marshall che non era nient'altro che un progetto politico mirato ad evitare che i paesi europei finissero tra le braccia sovietiche, e che sarebbe dunque stato ritirato - come sta avvenendo - col crollo dell'URSS. E sempre in questi giorni, l'occidentale medio festeggia il crollo del Muro di Berlino, non rendendosi conto che quel crollo è stata una iattura per il mondo, anzitutto dal punto di vista degli interessi occidentali, visto che togliendo un nemico agli Stati Uniti, ha messo lo Zio Sam nella condizione di non dover dimostrare più niente.
L'occidentale medio crede che uscirà dai suoi guai votando la Meloni o Trump o la Le Pen - anche ammesso (e non è detto) che questi signori siano davvero in buonafede - giocando con le regole di nemici che non si sono fatti alcuno scrupolo di generare una pandemia globale che facesse sei milioni di morti, più quelli da vaccino, e che si appresta a continuare così. Continua a pensare che i processi storici seguano procedimenti democratici e non siano, come è del resto la storia dell'Occidente stesso, frutto di lotte sanguinose. Non studiando la storia, l'occidentale non sa che tutti i grandi cambiamenti di paradigma, dalla Rivoluzione Francese alle guerre d'indipendenza europee, dalla guerra d'indipendenza americana alla guerra di secessione, dal Risorgimento alla Resistenza, sono figli di lotte sanguinosissime, dove si fanno morti e feriti, dove si fanno attentati, dove si rischia perfino di morire in galera, in nome di un ideale.

L'occidentale medio oggi vive soltanto di se stesso. E se il proprio egoismo non viene pettinato a sufficienza da un partito, il beauty contest televisivo e digitale ci offre tante nuove Wanne Marchi che hanno la soluzione giusta al nostro problema, basta votarle ed ecco che avremo il paradiso a portata di mano. Non immagina nemmeno di vivere in un benessere che assomiglia moltissimo al fenomeno della miglioria della morte che si verifica in molti pazienti malati terminali che ad un certo punto, come se l'organismo si sentisse liberato del peso della lotta, esperiscono un momentaneo e breve miglioramento per poi spirare il giorno dopo. Non è cosciente del pericolo mortale che corre. Ed è proprio per questo che si avvicina alla morte.

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Mi perdoneranno i tuoi lettori, ma sono completamente d'accordo con te. A malincuore come te, non vedo aspirine ( o zigulí🤔) che possano liberare l'Occidente da questa "malattia". Non esistono risvegli tardivi o consapevolezza salvifica. Dal canto mio, forse, sono ancora molto più incisiva, nel diagnosticare la totale morte di questa umanità, destinata a poco a poco alla sua estinzione. È solo una questione di tempo.
 
Ero un po' indietro coi tuoi articoli, quindi leggo solo ora. È perfetto. Vorrei averlo scritto io. C'è tutto quello che occorre sapere per comprendere il baratro da cui la nostra società NON uscirà se non coi piedi in avanti. E l'ignoranza, innanzitutto della Storia, è fondamentale. Ma anche di tutto il resto. Non si coltiva più niente, dal pensiero filosofico alla semplice conoscenza dell'uomo, e il risultato è quello che descrivi. Non ci sarà uscita incruenta da tutto questo, e ovviamente sperare che possano affrontarla generazioni cresciute su stupidi quiz in cui si premiano balordi come loro che conoscono solo inutili stupidaggini è solo idiozia. Conosco troppa gente che non si fa scuotere da nulla, convinta che "ormai i tempi sono cambiati", pur di non alzare un dito.
Edit: l'accusa di "pessimismo" era rivolta anche a Spengler. Lui rispondeva che non pessimismo era il suo, ma semplice considerazione dei fatti, ossia realismo.
 

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Franco Marino
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